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Turchia, tutte le sfide del rieletto Erdogan

Erdogan ha vinto le elezioni presidenziali in Turchia con circa il 52 per cento dei voti. Ecco cosa dobbiamo aspettarci. Fatti, numeri e approfondimenti.

 

Recep Tayyip Erdogan ha vinto il ballottaggio di domenica 28 maggio in Turchia ed è stato riconfermato presidente: è al potere dal 2003, e ci resterà per altri cinque anni.

Erdogan ha ottenuto circa il 52 per cento dei voti. Il suo avversario Kemal Kilicdaroglu, rappresentante delle opposizioni, ha preso quasi il 48 per cento.

IL COMMENTO DI CARACCIOLO (LIMES)

“La prima cosa che a occhi italiani e occidentali colpisce in questo voto turco è l’ininfluenza a quelle latitudini di fattori per noi determinanti, come l’economia, la pace e la salute”, ha scritto Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica Limes, sul quotidiano Repubblica.

Caracciolo ha spiegato che nonostante la grave condizione dell’economia turca – conseguenza proprio delle politiche del presidente – e nonostante gli attacchi alle opposizioni e alla comunità LGBT, Erdogan ha comunque vinto le elezioni presidenziali. “Da noi un candidato che si fosse presentato con questo bollettino di insuccessi […], ben difficilmente avrebbe potuto farcela. In Turchia invece sì. Perché? Questione di storia, mentalità, cultura. La Repubblica Turca, di cui il 29 ottobre Erdogan celebrerà in pompa magna il centenario, vive oggi una stagione di espansione imperiale che esalta le aspirazioni di gloria di buona parte della popolazione (compresi molti elettori di Kilicdaroglu). Semplicemente, i turchi si sentono finalmente tornati al rango di grande potenza”.

“Poco ma sicuro”, prosegue Caracciolo, che “dopo la sua rielezione, Erdogan riprenderà con maggior slancio la sua geopolitica attiva” in Medioriente, Nordafrica, Balcani e Mediterraneo orientale, oltre a intrattenere rapporti contemporaneamente con la Russia e la NATO, di cui fa parte. La politica estera di Erdogan riguarda anche l’Italia perché “i turchi si affacciano da Tripoli sullo Stretto di Sicilia”, avendo sostenuto militarmente e con successo il governo della Libia riconosciuto a livello internazionale.

COSA FARÀ ADESSO ERDOGAN, SECONDO L’ISPI

Secondo il think tank ISPI, dopo la rielezione, “la ricostruzione delle zone terremotate e la questione dei rifugiati siriani presenti in Turchia restano i dossier più spinosi in politica interna” per Erdogan.

“Per le zone colpite dal devastante terremoto del 6 febbraio Erdoğan ha promesso la costruzione di oltre 300.000 case entro un anno, mentre da più parti ci si chiede se si tratti di misure sufficienti a contenere l’impatto di una catastrofe dai costi economici che si aggirano, secondo le stime più attendibili, a 103 miliardi di dollari (circa il 9% del Pil turco per il 2023)”.

“Nell’ambito di un accordo sull’immigrazione concluso con l’UE nel 2016, che ha portato nelle casse del paese 6 miliardi di euro, la Turchia attualmente ospita circa 3,7 milioni di rifugiati siriani. Di fatto, il sistema della redistribuzione dei migranti previsto dall’accordo non ha mai funzionato in maniera adeguata e, dopo aver inizialmente favorito l’ingresso dei rifugiati da una vicina Siria in preda al conflitto, Erdoğan è stato costretto (e lo sarà ancor di più nelle vesti di neopresidente) a trovare una soluzione volta ad ‘alleggerire’ la loro presenza nel paese”, visto il crescente malcontento popolare nei confronti dei siriani.

In politica estera, invece, Erdogan proseguirà probabilmente la  sua politica estera di diversificazione dei rapporti rispetto all’alleanza atlantica: ha già stretto “forti legami economici con la Cina e soprattutto con la Russia”, rispettivamente terzo e primo partner commerciale di Ankara nel 2022.

COM’È MESSA L’ECONOMIA DELLA TURCHIA

Sempre l’ISPI sottolinea le gravi condizioni dell’economia della Turchia, gravata da “alti tassi di disoccupazione e di inflazione, oggi rispettivamente al 10% e al 43,7%. Nel corso del 2022 un’impennata dell’inflazione (con un tasso medio al 72,3% contro il 19,6% del 2021) e il deprezzamento della lira (che ha perso il 60% del suo valore rispetto al dollaro negli ultimi due anni) hanno fatto registrare una significativa perdita di potere d’acquisto, soprattutto dei ceti medio-bassi”.

“Il leader turco”, prosegue il think tank, “ha ribadito che non intende abbandonare la controversa politica dei tassi bassi, dichiarazioni che hanno alimentato ulteriormente il timore dei mercati. L’economia, che per anni è stata il cavallo di battaglia di Erdoğan si è trasformata in una forte criticità, ma non ha rappresentato l’elemento che ha dato la spallata” al presidente.

LE CONSEGUENZE PER L’OCCIDENTE

In un’analisi per il Guardian, Patrick Wintour ha scritto che l’Occidente dovrebbe ora preoccuparsi di evitare che Erdogan cada nelle braccia di Vladimir Putin, ma è improbabile che il presidente turco decida di rivedere il suo approccio, anche considerati i toni sempre più anti-occidentali della sua retorica. “Forse è solo retorica da campagna elettorale”, nota Wintour, ma questo anti-occidentalismo “riflette una mentalità in Turchia e potenzialmente in altri paesi”.

“Il primo banco di prova per Erdogan sarà il vertice della Nato a Vilnius”, prosegue l’analista, “dove gli verrà chiesto di togliere il veto della Turchia all’adesione della Svezia alla NATO. Ha già tolto il blocco all’adesione della Finlandia, ma ha lasciato la Svezia nel limbo e in una zona grigia potenzialmente pericolosa”: c’entra la numerosa popolazione curda residente nel paese e il rifiuto di Stoccolma di concedere l’estradizione in Turchia di centoquaranta curdi.

Relativamente ai rapporti con la Russia, sul Guardian si legge che durante la campagna elettorale Erdogan ha detto che Ankara e Mosca “hanno un rapporto speciale e ha riflettuto sui suoi legami personali con Putin, dicendo che questi lo hanno messo in una buona posizione per agire come mediatore sulla guerra in Ucraina. Ad aprile Erdogan ha lanciato la prima centrale nucleare turca costruita con il sostegno finanziario e la tecnologia russa. Più implausibilmente, Putin ha parlato della possibilità che la Turchia diventi un hub europeo per il gas russo

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