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Erdogan

Perché Erdogan cavalca l’onda islamista?

Erdogan, il presidente della Turchia, vuole diventare un califfo? L'analisi di Francesco Galietti, esperto di scenari strategici e fondatore di Policy Sonar.

La ferocia di Hamas stuzzica Erdogan, che sogna di ripristinare il Califfato.

L’orrore di Gaza ha avuto un ulteriore effetto: il leader turco Erdogan ha preso a cavalcare l’onda islamista e ad attaccare Israele. Ad ingranare la retromarcia non ci pensa proprio. Non è detto che questo irrigidimento drastico figurasse fin dall’inizio nei suoi piani. È probabile invece che, a ridosso del centenario della repubblica turca, Erdogan avesse rifasato la sua agenda strategica, concentrandosi su in particolare su Caucaso e Mar Nero. L’iniziativa di Hamas ha cambiato i suoi calcoli. Ecco perché.

Da tempo, Erdogan aveva recuperato la dottrina panturanica nella sua più recente formulazione di Ahmet Davutoğlu, eminenza grigia del pensiero strategico turco. L’esempio più vistoso di questo pivot to Asia di Erdogan è ovviamente il sostegno offerto agli Azeri nella recente invasione del Nagorno-Karabakh. Ultimamente, poi Erdogan aveva gioco facile a rosicchiare spazi strategici ai russi nel Mar Nero, approfittando della guerra russo-ucraina e della posizione geografica della Turchia.

Ad ogni buon conto, la metaforica scrivania di Erdogan era già ingombra di mappe e cambiali. La Turchia, infatti, è sì potenza esuberante sul piano strategico, ma alquanto fragile sul piano dei conti e della tenuta economica.

COSA FA LA TURCHIA

Proprio per questa ragione, la soluzione escogitata dai vertici turchi era quella di gestire un problema per volta, evitando cioè di tenere troppi fronti aperti contemporaneamente. Non a caso, Erdogan aveva ormai per anni cercato di levigare le asperità con le monarchie del Golfo, e anche di normalizzare i rapporti con Israele, in un percorso di avvicinamento graduale che passava anche da intese sui giacimenti di gas del Mediterraneo Orientale. Vistosi tagliato fuori dagli accordi sul corridoio strategico IMEC indo-arabo-mediterraneo celebrati al summit G20 di Nuova Delhi, Erdogan non aveva mancato di manifestare a gran voce il suo disappunto.

ERDOGAN INFIAMMA LA FOLLA ISLAMISTA

Dinanzi al precipitare degli eventi a Gaza, Erdogan ha accantonato subito l’impostazione di ‘distensione selettiva’. I video di Erdogan che arringa folle oceaniche attaccando Israele ci restituiscono piuttosto l’immagine di un leader intrappolato nella sua maschera teatrale. Erdogan infiamma la folla islamista perché la conosce e, molto probabilmente, perché la teme. Deve infatti la propria ascesa al potere, così come il suo consolidamento in patria e fuori porta, al nazionalismo intriso di islamismo e alla costante ricerca di vicinanza con differenti e potenti sigle islamiste – dai sufi ai Barelvi fino ai Deobandi. Erdogan si vuole protettore dell’Islam nel mondo, in uno strano impasto tra geopolitica  – il panturanismo che abbraccia lo spazio dalla Bosnia fino allo Xinjiang – e suggestione religiosa – il ripristino del Califfato – che si somma allo stato di membro NATO sui generis e armato fino ai denti.

Ovviamente se Erdogan riapre la valvola dell’islamismo, ciò determina numerosi e pesanti problemi. Gli USA, per esempio, hanno di recente segnalato tramite la presenza di proprie truppe in Armenia l’esistenza di ‘linee rosse’ invalicabili. Per Washington non è in sé un male che la Turchia spinga verso Est, perché il panturanismo in linea di principio è in collisione con le Vie della Seta cinesi, ma non vuole che ne facciano le spese gli armeni già scaricati da Mosca. Nel Levante, inoltre, sono i curdi a poter contare sul sostegno americano. Ora Washington non può accettare che Ankara tuoni contro Israele, e men che meno che getti benzina sul fuoco dell’Islam politico in uno sforzo coordinato con il proprio gemello siamese, il Qatar. Non a caso negli scorsi giorni Meshal bin Hamad Al Thani, l’ambasciatore qatarino negli USA, ha firmato un articolo sul Wall Street Journal per respingere ogni addebito e presentare Doha come honest broker, mediatore irreprensibile, nelle complesse vicende mediorientali. La posizione del Qatar, si badi, è di forte interesse anche per l’Italia, che ha in Doha un grosso fornitore di LNG.

IL PRESIDENTE TURCO VUOLE FARSI CALIFFO

Erdogan non preoccupa solo gli USA e il resto dell’Occidente, Germania in testa con il suo milione e trecentomila di residenti turchi, ma anche la Russia e l’India. Si prenda il Dagestan, dove in uno scalo aeroportuale una folla inferocita ha da poco messo in scena una raccapricciante caccia all’ebreo. Politicamente, il Dagestan è territorio russo. Culturalmente, tuttavia, la popolazione sconta una evidente egemonia turca, che si estende ad ampie fette di Caucaso settentrionale. Se Erdogan soffia sul fuoco, agli occhi del mondo Putin non è più padrone in casa propria. Anche il premier indiano Modi, a pochi mesi dalle elezioni e da sempre alle prese con l’enorme minoranza musulmana indiana, scruta con preoccupazione il Presidente turco che vuole farsi Califfo.

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