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Libia Iraq

Eni, Eastmed e non solo. Perché l’intesa Sarraj-Erdogan è contraria agli interessi dell’Italia. Parla Jean

La missione di Di Maio in Libia, l'accordo Sarraj-Erdogan, gli scenari per Eni ed Eastmed, il ruolo di Russia ed Egitto. Conversazione di Start con il generale Carlo Jean, analista di geopolitica

Con una mezza guerra mondiale in corso in Libia, la missione del nostro ministro degli Esteri Luigi Di Maio nel paese nordafricano per rilanciare il nostro storico ruolo di mediatore tra le due fazioni in conflitto assumeva ovviamente il più estremo senso dell’urgenza.

Peccato che, come osserva il generale Carlo Jean, l’Italia in quel contesto possa davvero poco o nulla, visto che “per mediare, bisogna avere la forza per farlo” e noi, avendo scelto l’equidistanza tra Tripoli e Bengasi ed essendoci rifiutati di “inviare armi all’uno come all’altro contendente, la nostra capacità di influire sulla situazione è molto ridotta”.

In questa conversazione con Start Magazine sugli ultimi sviluppi del caos libico, Jean non solo spiega perché l’Italia, nell’occuparsi di questo problema, farebbe bene a concentrarsi sul proprio interesse nazionale che porta i nomi di gas ed Eni, ma auspica che il nostro esecutivo faccia un passo indietro e lasci che siano le maglie della diplomazia del Cane a sei zampe, ben radicate tanto nell’Est quanto nell’Ovest della nostra ex quarta sponda, a presidiare e tutelare la presenza e gli interessi italici in Libia.

Generale, ci spiega il senso della missione del ministro Di Maio in Libia?

Sicuramente era una missione molto delicata, ma anche dovuta, visto che l’ultimo viaggio fatto ad alto livello dall’Italia a Tripoli è stato quello del presidente del Consiglio Conte esattamente un anno fa. In questa occasione, l’Italia ha confermato la sua volontà di mediare. L’unico problema è che, per mediare, bisogna avere la forza per farlo.

E noi questa forza non ce l’abbiamo, vero? 

No. Non ce l’abbiamo per un semplice motivo, ossia che vogliamo essere equidistanti. E quando uno vuole fare l’equidistante, annacqua la sua posizione verso entrambi i contraenti tra cui dovrebbe mediare. Noi sappiamo che ci vuole una soluzione politica in Libia, ma la creazione di tale soluzione dipende dagli eventi militari, e questi ultimi dipendono dalle armi. Se non rifiutiamo di inviare armi all’uno come all’altro contendente, la nostra capacità di influire sulla situazione è molto ridotta.

Di Maio però ci crede e vuole creare, sulla falsariga degli Usa, la figura dell’inviato speciale per la Libia.

È una proposta che si commenta da sé, visto che tale figura dipenderebbe dal ministero degli Esteri, il cui titolare sa a malapena dove si trovano Tripoli e Bengasi. Come Stato, insomma, l’Italia non ha praticamente alcuna forza per imporre il proprio volere in Libia. Ciò che abbiamo invece è la forza notevole rappresentata dalla presenza dell’Eni e da quella di molti libici che nutrono interessi commerciali con l’Italia.

A proposito di Eni, il primo ministro di Tripoli, Fayez al Sarraj, ha fatto un bell’inciucio con Erdogan che metterà non poco in difficoltà la nostra compagnia energetica. Secondo lei Di Maio avrà dato dell’irriconoscente a Sarraj?

L’accordo tra Sarraj ed Erdogan sul Mediterraneo Orientale è contrario non soltanto agli interessi dell’Italia, ma anche a quelli di Grecia, Cipro e in parte di Egitto ed Israele. L’accordo infatti va ad incidere su EastMed, la grande pipeline che dovrebbe portare in Europa l’enorme quantità di gas che è stata scoperta a sud di Cipro, fino alle porte del Libano, di Israele e dell’Egitto. Ad ogni modo, dubito fortemente che la Turchia abbia le capacità finanziarie e tecnologiche per sfruttare questo gas. Non dimentichiamo che la Turchia, prima di riprendersi un po’ negli ultimi mesi, è stata sull’orlo del collasso economico. E poi, se anche Erdogan ci riuscisse a mettere le mani su quel gas, dove lo piazzerebbe se non in Europa, ossia proprio in quel continente che il Sultano continua a sfidare per aumentare il proprio consenso presso l’opinione pubblica interna?

Tuttavia ora Erdogan sembra essere diventato uno dei kingmaker in Libia, al punto che un importante giornalista italiano ha scritto, mentre Di Maio stava andando in Libia, che a sbrogliare la situazione nella nostra ex quarta sponda non sarà certo il nostro giovane ministro, bensì il Sultano con lo Zar.

Non bisogna esagerare il ruolo di Ankara e Mosca in Libia, che rimane un Paese abbastanza lontano dalle capacità di proiezione di potenza sia della Russia che della Turchia. Più che questi due paesi, l’elemento fondamentale per gli equilibri in Libia è l’Egitto, che pur essendo in condizioni di intervenire militarmente, non lo fa per non ficcarsi in un ginepraio.

Ad ogni modo, che l’Egitto, alleato di Haftar, intervenga o meno nel conflitto sembra questione secondaria in un momento in cui il generale sembra lanciato verso la conquista di Tripoli e non gli mancano certo appoggi di ogni tipo, in specie militari.

Qui bisogna però fare molta attenzione, perché non è detto che Haftar abbia la capacità di sbaragliare l’avversario e poi, in caso di vittoria, di controllare tutto il territorio libico. Sul primo punto, teniamo conto che le sole milizie di Misurata, alleate di Sarraj, contano almeno 40 mila uomini, che è un numero ben superiore a tutte le forze di Haftar, e queste milizie sono dotate peraltro di 6 o 700 mezzi corazzati. Quanto alla seconda questione, la stessa occupazione di Tripoli richiederebbe una quantità di effettivi di cui Haftar non dispone affatto. Andare ad occupare una città di due milioni di abitanti, divisa tra milizie che si combattono tra di loro, e con la presenza di ingenti quantitativi di armi, è impresa che dubito fortemente sia nelle capacità di Haftar.

Insomma, come ripetono spesso i politici italiani, non esiste una soluzione militare alla crisi libica. Ma che può fare la comunità internazionale per sbrogliare la situazione?

Bisogna attendere la Conferenza di Berlino, che sarà essenziale al riguardo. In quella sede saranno discusse le soluzioni possibili, che alla fine sono solo due: una Libia unita o una Libia separata. La divisione del paese è alquanto difficile perché la cosiddetta mezzaluna petrolifera del golfo della Sirte è intermedia tra la Tripolitania e la Cirenaica. C’è poi tutta la zona Sud, abitata dalle tribù Tebu e Tuareg che non sono disponibili a sottomettersi del tutto ad Haftar. Uno sviluppo nuovo e interessante che intravedo è invece che, dopo l’intervento russo, si sono create le condizioni per un accordo tra Italia e Francia, che potrebbero smetterla di bisticciare e mettersi finalmente d’accordo sulla spartizione dei diritti di esplorazione e sfruttamento del gas e del petrolio libici, che poi a mio avviso è l’unica cosa su cui il governo italiano dovrebbe spingere.

Se gas e petrolio sono le nostre priorità, quale linea ci converebbe tenere in sede politica e diplomatica?

Anzitutto ricorderei che la Libia è fondamentale per noi solo entro determinati limiti. L’apporto della produzione petrolifera libica è notevolmente aumentato perché attualmente si estraggono 1.250 mila barili al giorno. Ciononostante, siccome quello del petrolio è un mercato mondiale, è ovvio che se esce da una parte, entra dall’altra, per cui il ruolo della Libia qui mi pare tutto sommato marginale. Col gas invece il discorso è molto diverso. Ricordo che il gasdotto che unisce la Libia all’Italia ha una potenzialità di 10 o 11 miliardi di metri cubi all’anno, di cui attualmente sono sfruttati 5 o 6. Stiamo parlando dunque del 10-12% del consumo interno italiano. Se questo approvvigionamento dovesse cessare, sicuramente l’Italia si ritroverebbe in difficoltà perché sarebbe costretta ad aumentare quello dai gasdotti russi. Non dimentichiamo poi che noi abbiamo pochi termovalorizzatori, e questo ci preclude l’approvvigionamento alternativo con lo shale gas americano.

Per mettere in sicurezza questi interessi, cosa dovrebbe fare il nostro governo?

La cosa migliore che può fare l’Italia è lasciare fare all’Eni, che ha ramificazioni in tutte le due compagini di governo, sia di Tripoli che di Bengasi, ed è dunque in condizioni di tutelare i propri interessi. 

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