La vittoria di Lai Ching-te alle elezioni presidenziali di Taiwan di sabato scorso è anche la terza vittoria di fila per il Partito progressista democratico, di centrosinistra, che tuttavia non è riuscito a ottenere la maggioranza in parlamento.
LA DOPPIA REAZIONE DEI MERCATI
L’esito del voto è stato accolto in maniera duplice dai mercati.
Da una parte, il fatto che Lai – il candidato più critico nei confronti della Cina, che considera illegittimamente Taiwan parte del proprio territorio – abbia vinto la presidenza ma senza poter contare su una maggioranza parlamentare ha rassicurato chi temeva una degenerazione nei rapporti con Pechino, che considera Lai un separatista e un sobillatore.
Dall’altro lato, proprio il fatto che Lai non avrà la maggioranza in parlamento ha provocato una leggera svendita di titoli taiwanesi – così riporta Reuters – perché gli investitori temono che il presidente, dovendo negoziare con l’opposizione, dovrà sì moderare la sua linea anticinese ma allo stesso tempo farà più fatica a realizzare i suoi programmi economici.
IL COSTO DELLA GUERRA A TAIWAN
Pur essendo il candidato più critico nei confronti della Cina – Pechino, come detto, non riconosce l’esistenza di Taiwan come un’entità a sé stante e dice di voler procedere alla cosiddetta “riunificazione”, anche per via armata -, è improbabile che l’elezione di Lai possa sconvolgere lo status quo locale e addirittura condurre a una guerra su scala internazionale.
“Lai era considerato il candidato più imprevedibile dalla Cina, e forse anche dagli Stati Uniti e da una parte dei cittadini taiwanesi”, ha spiegato a Startmag Lorenzo Lamperti, unico giornalista italiano di base a Taipei. “Ma Lai ha smussato parecchio le sue passate posizioni radicali, ponendosi in continuità con la presidente uscente Tsai Ing-wen, di orientamento moderato, e offrendo numerose garanzie di mantenimento dello status quo“.
Pur nell’improbabilità di una guerra a Taiwan dopo le elezioni, dunque, Bloomberg ha comunque provato a calcolare l’impatto di questo conflitto sull’economia mondiale, stimando un costo di 10.000 miliardi di dollari, pari al 10 per cento del PIL globale. Un danno economico così elevato è dovuto principalmente alla centralità di Taiwan nell’industria dei microchip: sull’isola, ad esempio, ha sede TSMC, la più grande e sofisticata azienda produttrice di semiconduttori al mondo.
COME ANDRÀ IL MERCATO AZIONARIO DI TAIWAN
Stando agli analisti sentiti da Reuters, è probabile che questa settimana il mercato azionario di Taiwan risentirà negativamente del risultato del voto perché gli investitori, spaventati dalla paralisi parlamentare, potrebbero vendere titoli. Nel 2023, comunque, il mercato azionario taiwanese è cresciuto del 27 per cento, registrando la sua performance migliore dal 2009 e attirando investimenti esteri per 3,4 miliardi di dollari.
I risultati sono influenzati dalla presenza a Taiwan di TSMC, che vale da sola il 30 per cento delle vendite mondiali di semiconduttori e pesa all’incirca il 30 per cento sul principale indice azionario taiwanese.
COSA PENSA IL MONDO DEL BUSINESS
L’esito del doppio voto, presidenziale e parlamentare, fornisce sollievo a quegli investitori spaventati da una vittoria troppo netta di Lai, che a quel punto avrebbe potuto adottare un’agenda molto anticinese. Il presidente eletto, però, ha negato di voler dichiarare l’indipendenza formale di Taiwan dalla Cina, un atto che aggraverebbe parecchio le tensioni tra i due paesi e che si ripercuoterebbe sull’industria dei chip.
“Chi pensa di più a Pechino”, ha scritto a proposito Lamperti su China Files, “sono le aziende e il mondo del business, da cui è partita la richiesta a Lai di rivedere le sue politiche sulle relazioni intrastretto: ‘Servono cooperazione e dialogo’, si ripete. Anche dal parco tecnologico di Hsinchu, la capitale mondiale della fabbricazione di microchip (citate da Lai nel discorso da presidente eletto come elemento di stabilità). Forse non siamo ancora alla resa dei conti, ma anche per i taiwanesi i conti devono tornare”.
LA SITUAZIONE DOPO LE ELEZIONI
Lai assumerà l’incarico il prossimo 20 maggio. Il suo Partito progressista democratico ha ottenuto cinquantuno seggi in parlamento, contro i cinquantadue del Kuomintang (nazionalista e più aperto al dialogo con Pechino) e gli otto del Partito popolare (populista e accomodante con la Cina).