Il popolo di Taiwan si è espresso. Eleggendo alla carica di presidente l’attuale vicepresidente Lai Ching-te, un uomo che si fa chiamare William da quando, nel suo lungo soggiorno in America, scelse questo nome per agevolare i suoi colleghi medici che non riuscivano proprio a pronunciare quello originale.
LA SCELTA DI TAIWAN
La scelta democratica dei 23 milioni di taiwanesi è stata la miglior risposta al tentativo della Cina di intimidirli con incursioni aeree e navali continue ma anche con il lancio e il sorvolo di oltre venti palloni-spia che avevano il compito di trasmettere agli elettori il più cupo dei messaggi: vediamo tutto.
LA VITTORIA DI LAI
I taiwanesi non si sono piegati e hanno incoronato un uomo come il leader democratico progressista che è a favore della difesa a oltranza di uno status quo minacciato dalle assurde pretese di Pechino su un territorio che non è mai stato sotto sovranità cinese e che i portoghesi chiamavano Formosa.
TAIWAN FA PAURA ALLA CINA
La verità è che una democrazia che parla cinese fa paura a un regime stalinista che bandisce ogni forma di voto popolare e che viola ogni diritto che invece a Taiwan è tutelato da un sistema che si piazza invariabilmente ai primi posti delle classifiche mondiali per rispetto delle libertà democratiche e dove c’è anche il matrimonio omosex legale.
LE MOSSE AMERICANE
Il Segretario di Stato Usa Anthony Blinken si è appena complimentato anche sui social con Lai Ching-te e con il popolo di un’isola considerata ribelle ma che in realtà rivendica solo il diritto di vivere in pace entro i suoi confini senza rinunciare alla libertà di scegliersi ogni quattro anni i propri rappresentanti e tutte le altre libertà che il Partito comunista cinese vorrebbe volentieri sopprimere.
Una delegazione bipartisan di funzionari americani si recherà nei prossimi giorni a Taipei per ribadire la vicinanza degli Usa e la loro volontà di respingere – anche con la forza, come per ben due volte Biden si è fatto scappare – ogni tentativo di cambiare lo status quo.
LE MIRE DELLA CINA
L’invasione di Taiwan, alla quale si sta preparando da anni l’esercito popolare di liberazione, non recherebbe solo un danno irreparabile all’economia globale, ma pianterebbe un ulteriore chiodo sulla bara di quel sistema internazionale delle regole che Putin ha allegramente violato 2 anni fa aggredendo Kyiv e annettendosi quattro sue province.
Chi in Europa crede che Taiwan non sia un affare nostro non ha la minima idea del mondo in cui viviamo, che cesserebbe semplicemente di esistere senza i semiconduttori avanzati fabbricati a Taiwan che Pechino spera di asservire alla sua macchina tecnologica e bellica.
Il popolo di Taiwan è indomito al punto di eleggere proprio il leader che la Cina aveva indicato come nemico.
Un segnale di salute, resilienza e speranza.