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Financial Times

Il venticello di destra che spira in Spagna non soddisfa troppo Giorgia Meloni

Le elezioni anticipate volute dal premier socialista in Spagna non hanno certamente premiato la destra Vox sponsorizzata da Giorgia Meloni forse troppo appassionatamente. I Graffi di Damato.

Pur contenta del successo anche personale conseguito ieri con la Conferenza euro-africana di Roma finalizzata, fra l’altro, al contenimento dell’immigrazione clandestina sulle coste dell’Ue, più ancora che italiane, la premier Giorgia Meloni ha dovuto seguire con una certa “trepidazione” – come riferisce Francesco Bechis sul Messaggero – le notizie che le giungevano dalla Spagna. Dove le elezioni anticipate volute dal premier socialista non hanno certamente premiato la destra Vox da lei sponsorizzata forse troppo appassionatamente. Un cui successo avrebbe potuto gonfiare le vele del progetto meloniano di esportare l’anno prossimo nell’Europarlamento il centrodestra al governo in Italia, pur con l’anomalo posizionamento della Lega di Matteo Salvini. Che in Europa preferisce la destra estrema a quella conservatrice.

IL RISULTATO DI VOX ALLE ELEZIONI SPAGNOLE

I parlamentari di Vox, stando ai risultati non ancora definitivi mentre scrivo, hanno perso quasi 20 dei 50 e più seggi di cui disponevano prima delle elezioni. E ad una maggioranza col Partito Popolare, tornato ad essere il primo in Spagna, mancherebbero sulla carta almeno 7 dei 176 seggi necessari, con grande sollievo naturalmente dei socialisti di Pedro Sanchez, la cui sostanziale tenuta li mantiene in gioco.

LA SPAGNA DI OGGI COME L’ITALIA DEL 1976?

In pratica la Spagna che sta uscendo dalle urne ricorda in qualche modo l’Italia delle elezioni – anch’esse anticipate – del 1976. Dalle quali Aldo Moro, presidente della Dc, sostenne che fossero emersi “due vincitori”: la sua Dc, appunto, e il Pci di Enrico Berlinguer, ancora più preponderante a sinistra per il minimo storico, sotto il 10 per cento, conseguito dai socialisti allora guidati da Francesco De Martino. Ne conseguì una tregua fra democristiani e comunisti chiamata “solidarietà nazionale”, ma secondo molti proiettata, a torto o a ragione, verso il “compromesso storico” teorizzato qualche anno prima da Berlinguer pensando ad un’alleanza vera e propria fra i due maggiori partiti italiani, pur antagonisti elettoralmente.

Diversamente però dal Moro del 1976, che negoziò con i comunisti prima l’astensione e poi l’appoggio esterno ad un governo monocolore democristiano guidato da Giulio Andreotti, il leader dei popolari spagnoli Alberto Nunez Feijoo sembra quanto meno tentato dalla costruzione di una maggioranza senza il concorrente di sinistra, anche a costo di provocare questa volta lui, come Sanchez nei mesi scorsi, lo scioglimento delle Camere e un altro turno di elezioni anticipate. Che difficilmente sembra destinato a procurare vantaggi alla destra di Vox, che ha perduto voti nelle urne di ieri soprattutto a vantaggio dei popolari. Con i quali tuttavia la premier italiana, leader del partito dei conservatori europei, è disposta ad allearsi a Strasburgo, ricambiata nelle sue speranze dal presidente del Ppe Manfred Weber e forse anche dalla presidente uscente della Commissione di Bruxelles Ursula von der Leyen, pure lei del Partito Popolare.

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