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Ecco perché il cardinale Becciu dovrebbe andare a processo. Parla la prof. Boni

Conversazione di Andrea Mainardi con Geraldina Boni, professore ordinario di Diritto canonico, di Diritto ecclesiastico e di Storia del diritto canonico all'Università di Bologna e, tra l'altro, consultore del Pontificio consiglio per i Testi legislativi della Santa Sede, sul caso Becciu

Appena stamane, il Papa ricevendo gli esperti del Consiglio d’Europa (Moneyval) – che in questi giorni stanno scandagliando le misure contro il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo messe in atto oltre le Mura leonine – ha ricordato quanto il tema gli sia “particolarmente a cuore”.

Detta Bergoglio dalla Biblioteca privata del Palazzo apostolico: “Gesù ha scacciato dal tempio i mercanti e ha insegnato che ‘non si può servire Dio e la ricchezza’. Quando, infatti, l’economia perde il suo volto umano, non ci si serve del denaro, ma si serve il denaro. È questa una forma di idolatria contro cui siamo chiamati a reagire, riproponendo l’ordine razionale delle cose che riconduce al bene comune, secondo il quale ‘il denaro deve servire e non governare!’”.

Lo ricorda, citandosi dalla Evangelii Gaudium.

Incalzato in passato dai giornalisti su veri o presunti scandali cuciti in veste filettata, Papa Francesco ha spesso ricordato convintamente una locuzione cardine del diritto romano: in dubio pro reo.

Con differenti esiti processuali a seconda dei casi. Dopo indagini, rinvii a processo, archiviazioni o inflitte condanne.

Di fatto quel “dubio pro reo” si trattava di incipit prudenziale. Che non significa garantismo o giustizialismo ideologico. Per Francesco è sempre apparso come atteggiamento di prudenza esercitata nell’ignaziano discernimento.
Anche in faccende giuridiche ed eventuali inciampi.

Quanto accaduto al cardinale Angelo Becciu in quella che, si narra – ermeneutica poi implicitamente approvata dal porporato in successive interviste – udienza burrascosa, in quel giorno di inizio autunno (era il 24 settembre) quando il prefetto della Congregazione delle cause dei santi e tra i suoi principali collaboratori in Segreteria di Stato fino al giugno 2018 sale a colloquio con il Papa per una firma ad alcuni decreti riguardanti il sigillo pontificio ad un miracolo, un martirio e due certificati di “virtù eroiche”, poi precipitato in un deciso, richiesto passo indietro, nella rinuncia ai diritti del cardinalato per presunti malaffari economici, è faccenda che lascia in un limbo la persona di monsignor Becciu, alimenta illazioni e costruzioni.

Pone, soprattutto, domande. Legittimamente poste dai fedeli.

“Il Popolo di Dio ha diritto non tanto alla trasparenza – oggi molto di moda – ma a conoscere la verità dopo che essa è stata accertata. Mi sembra che questa possa essere una ricostruzione giuridica corrispondente a quella ragionevolezza che nella Chiesa traduce l’irrinunciabile conformità alla giustizia. La soddisfazione che qualcuno ha manifestato per questa condanna senza processo mi pare, oltre che senza giustificazione, non genuinamente cristiana”.

Così Geraldina Boni, professore ordinario di Diritto canonico, di Diritto ecclesiastico e di Storia del diritto canonico all’Università di Bologna.

Professoressa Boni, qual è la valenza della rinuncia dai diritti del cardinalato di monsignor Becciu presentata nelle mani del Santo Padre?

Con riguardo alla rinuncia ai (piuttosto che ‘dai’, come recita il bollettino della sala stampa della Santa Sede del 24 settembre 2020) ‘diritti connessi al cardinalato’, anzitutto due precisazioni. Contrariamente a quanto è stato scritto in questi giorni, il Codice di Diritto Canonico menziona iura (diritti dei cardinali: can. 351 § 2) e li disciplina: d’altronde, per esempio, la Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis regola lo ius eligendi Romanum Pontificem (n. 33) e altri diritti, oltre che privilegi e facoltà, sono menzionati nell’Elenco dei privilegi e facoltà in materia liturgica e canonica dei cardinali (18 marzo 1999).

Non manca un travagliato precedente, recente, per ben altre questioni…

Nel comunicato stampa del 20 marzo 2015, si informava che il Santo Padre aveva accettato «la rinuncia ai diritti e alle prerogative del cardinalato, espresse nei canoni 349, 353 e 356 del Codice di Diritto Canonico, presentata […] da Sua Eminenza il signor Cardinale Keith Michael Patrick O’Brien» (il quale anche nel sito della Santa Sede risulta ancora annoverato tra i cardinali non elettori). Ma ogni buon canonista sa che nell’ordinamento canonico la contrapposizione tra diritto e dovere è speciosa e deviante: ogni diritto, dovendo essere sperimentato nella dimensione comunionale e di servizio, ha un ineliminabile spessore di doverosità.

Cosa è accaduto con quel passaggio nel tardo pomeriggio del 24 settembre nei confronti del cardinale Becciu?

Al di là della dizione, il Papa, accettando la rinuncia di Angelo Becciu – che di fatto non è stata volontaria ma coartata (come sovente accade nell’ordinamento canonico per evitare una rimozione, se non altro più traumatica e ‘scandalosa’) -, ha inteso, a mio avviso, immediatamente interdire l’esercizio di ogni funzione cardinalizia.

Provvedimento non consueto…

È evidente come questo atipico provvedimento di accettazione della rinuncia sollecitata, che ovviamente il Papa come titolare del potere supremo può emettere, svuoti completamente la dignità cardinalizia, spogliata di ogni contenuto concreto ed effettivo. Eppure, il non avere privato Becciu della berretta cardinalizia (e, direi, della diaconia) lascia aperta la possibilità che la situazione possa evolvere e risolversi anche in maniera positiva.

Becciu può aspirare a quello che a più riprese ha chiesto e invoca come chiarimento?

Laddove si accerti mediante la via giudiziaria – e non, si auspica, un’assai meno garantista via amministrativa – l’innocenza di Becciu, potrà essere pienamente reintegrato nel suo ruolo e nelle sue prerogative. Infatti, è vero che il Papa può emettere sentenze senza alcun vincolo processuale (si tratti di cardinali o no, con ‘diritti’ o senza): ma può anche sottoporre il cardinale sia a un processo canonico sia ad un processo vaticano (a seconda del crimine di cui è accusato), operando comunque sempre i tribunali vicariamente, cioè in nome del Romano Pontefice. Tra l’altro il can. 1405 § 1 n. 2 pone la riserva al Papa del diritto esclusivo di giudicare i cardinali: non afferma affatto che non si svolgerà il processo.

Quindi Becciu è ampiamente processabile dal tribunale dello Stato?

Oserei anche affermare che il Papa, almeno in questo caso, deve avviare un processo: e per molti motivi. Il suo giudizio potrebbe infatti apparire non adeguatamente motivato e dunque arbitrario, se non tirannico: anche tenendo conto che il suo ‘verdetto’ non è in alcun modo impugnabile (e, per questo, i casi dovrebbero essere davvero rarissimi ed eccezionali).

Un auspicio a passare per le vie dei tribunali…

In coerenza, inoltre, alla tradizione dell’ordinamento canonico che certamente ha contribuito non poco all’edificazione di quelle garanzie che oggi sostanziano l’universalmente riconosciuto diritto al giusto processo. Per il rispetto, ancora, di molti principi riconducibili al diritto divino naturale, vigente ovviamente in Ecclesia e da cui anche il Papa non è svincolato: primi tra tutti il diritto di difesa ma anche il diritto fondamentale del fedele al giudizio e di essere giudicato secondo le disposizioni di legge, da applicarsi con equità (can. 221 §§ 1-2).

Senza entrare nei presunti reati economici e finanziari – non ufficialmente contestati a quanto risulta all’arcivescovo – ma almeno a vagliare le differenti ricostruzioni. Per il bene della Chiesa…

Il Popolo di Dio ha diritto non tanto alla trasparenza – oggi molto di moda – ma a conoscere la verità dopo che essa è stata accertata. Mi sembra che questa possa essere una ricostruzione giuridica corrispondente a quella ragionevolezza che nella Chiesa traduce l’irrinunciabile conformità alla giustizia. La soddisfazione che qualcuno ha manifestato per questa condanna senza processo mi pare, oltre che senza giustificazione, non genuinamente cristiana.

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