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Ecco il programma dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr) presieduti ora da Giorgia Meloni

L’elezione di Giorgia Meloni a presidente del gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr) è una svolta che va valorizzata. Ecco perché e qual è il manifesto programmatico di Ecr. L'analisi di Gianfranco Polillo

Ottima notizia. L’elezione di Giorgia Meloni a presidente del gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr) è una svolta che va valorizzata. Nel Parlamento europeo quella formazione è costituita da 62 deputati e rappresenta la terza forza dello schieramento parlamentare, dopo il Partito popolare ed i socialisti dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici. Nel gruppo sono rappresentati 14 Paesi. Il suo baricentro (27 deputati) è dato dai rappresentanti della Polonia. Subito dopo viene Fratelli d’Italia (6 deputati) e Vox (Spagna) con 4 membri.

La base programmatica del gruppo è data dal Manifesto di Praga (The Prague Declaration), che fu redatto nel 2003. Dieci i principi indicati:

1) libera impresa, regolamentazione minima, sgravi fiscali, presenza minima dello Stato, a cui è demandata la difesa della libertà individuale e la prosperità personale e nazionale.

2) libertà della persona e maggiore responsabilità democratica.

3) sostenibilità, energia pulita e sicurezza energetica.

4) importanza della famiglia come fondamento della società.

5) integrità sovrana dello Stato nazionale, opposizione al federalismo europeo, sussidiarietà.

6) sicurezza transatlantica in una rivitalizzata Nato, sostegno alle giovani democrazie in tutta Europa.

7) controllo dell’immigrazione e fine degli abusi nelle procedure di asilo.

8) servizi pubblici efficienti e moderni, impegno a favore delle comunità rurali e urbane.

9) fine degli eccessi burocratici, impegno per una maggiore trasparenza e correttezza nelle istituzioni dell’UE e nell’utilizzo dei fondi comunitari.

Principi che dovrebbero mettere fine al tormentone “euro si” “euro no”. In passato utilizzato, molto spesso, per evidenti ragioni di carattere politico. Arma, tuttavia, sempre meno efficace, come mostra l’ascesa di Fratelli d’Italia sia nelle varie elezioni, che nei sondaggi a seguire.

Il successo di Giorgia Meloni, sul piano internazionale, è un po’ il cacio sui maccheroni. Corona una strategia fatta di presenza attiva, di moderazione nel prospettare le possibili soluzioni. Ma soprattutto di passione. Di quell’empatia che nasce ogni qual volta un pubblico più ampio comprende di avere di fronte a sé un personaggio genuino. Che naturalmente può anche sbagliare. Ma mentre gli errori si possono correggere, la protervia dei miracolati del potere rimane ad imperitura memoria.

Come nuovo leader di un gruppo europeo, il suo primo problema dovrà essere quello di affinare meglio la propria strategia, tenendo conto di un quadro interno ed internazionale profondamente segnato dalla crisi indotta dal corona virus. È, infatti, evidente che propositi di Italexit, che pure rimangono in frange marginali dello schieramento di opposizione in Italia, sono del tutto fuori dalla realtà. Si possono avere tutti i dubbi possibili sul Mes, sul Recovery Fund, o sulle scelte della Bce. Ma senza questi ingredienti la maionese italiana sarebbe impazzita da tempo ed il Paese sospinto in un girone infernale.

Giorgia Meloni, nel proporre un approccio di tipo confederale, si rende conto di queste contraddizioni. Questa proposta, anche al di là della sua fattibilità, le consente di avere con le attuali Istituzioni europee un rapporto dialettico. Che non è quello del “prendere o lasciare”, ma di entrare nel merito delle singole questioni, per difendere al meglio gli interessi nazionali. C’è, quindi, almeno in controluce, una distinzione netta tra la retorica del “sovranismo” e il difendere un principio che, dal Risorgimento in poi, ha sempre caratterizzato la storia d’Italia.

Quella storia che non comprende solo lo Statuto Albertino, ma la Costituzione repubblicana. Quindi non solo il superamento storico del vecchio Stato fascista, ma la sua condanna postuma, nel momento in cui gli interessi della Nazione furono sacrificati dal Regime in difesa della propria illusoria sopravvivenza, come avvenne al tempo della Repubblica di Salò. Se queste fossero le implicazioni di quella scelta, finalmente, in Italia si potrebbe chiudere il capitolo della retorica antifascista. Per lasciare agli storici il compito di delinearne, al meglio, le luci e le ombre, come è avvenuto per qualsiasi altro periodo della storia nazionale. E ritrovare, nello spirito della Nazione, il limite allo scontro politico quotidiano.

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