Dallo scorso martedì sul suolo italico è presente il Segretario di Stato americano Mike Pompeo. Dopo aver incontrato il presidente Sergio Mattarella, il primo ministro Giuseppe Conte e il suo omologo Luigi Di Maio, il capo della diplomazia Usa si recherà in Vaticano e, come tappa conclusiva, l’italo-americano Pompeo farà visita alla terra dei suoi avi, l’Abruzzo.
Sugli obiettivi, espliciti e reconditi, di questo viaggio di Pompeo in Italia, Start Magazine ha sentito il parere di Carlo Pelanda, analista, saggista e docente di geopolitica economica. Il quale, come sempre senza peli sulla lingua o circonlocuzioni, chiarisce anzitutto quale sia lo sfondo in cui si inserisce il passaggio del Segretario di Stato: lo scontro in atto tra la superpotenza a stelle e strisce e il suo rivale cinese.
Tanto le interlocuzioni con il governo italiano, quanto quelle con la Santa Sede, vanno lette nel contesto dello sforzo degli Usa di piegare o quanto meno addomesticare l’avversario cinese. Uno sforzo imperiale che necessita, se non dell’attiva collaborazione del nostro Paese e del Vaticano, quanto meno di atteggiamenti più equilibrati e, dunque, meno smaccatamente filo-cinesi.
Pompeo, tra l’altro, ha tra le mani una potente arma con cui intimidire almeno il nostro esecutivo – con il Papa naturalmente la questione si pone in altro termini – e convincerlo a smetterla di trescare con Pechino e di scherzare con il fuoco della sicurezza transatlantica facendo spazio alla tecnologia di Huawei nell’ecosistema delle telecomunicazioni nazionali: sono i dazi alle nostre merci su cui si è appena pronunciato favorevolmente il Wto.
Allora, prof. Pelanda, cos’è venuto a fare Pompeo in Italia?
Devo fare due osservazioni preliminari. La prima è che la vera visita per Pompeo è quella in Vaticano. Quella in Italia è solo una visita di cortesia, che avviene incidentalmente mentre a Roma si è formato un nuovo governo. La seconda osservazione rimanda al tema del giorno, ossia ai dazi che l’America potrà introdurre sulle merci europee dopo la sentenza del Wto. Quel che dobbiamo chiederci a questo punto è perché l’America fa filtrare che ci saranno dazi sulle merci italiane.
Ci risponda lei.
Gli americani ci stanno facendo capire che si sono stufati di vederci traccheggiare su questioni come il 5G o il Venezuela. Questo è il punto, tutto il resto è fuffa. La questione, dunque, è che se non si rassicurano gli americani sui temi che a loro premono, a partire dal 5G, allora la povera Italia – che non c’entra nulla con l’affaire Airbus – sarà penalizzata con i dazi come se non più dei francesi e dei tedeschi.
Pompeo, dunque, è venuto qui per fornirci, come dire, un grazioso promemoria.
Il promemoria non lo dà Pompeo: è già arrivato da tempo per vie riservate. Pompeo semplicemente, con il necessario sorriso diplomatico, sta chiedendo fondamentalmente all’Italia la conferma di alcune cose, come l’impegno sugli F-35, e poi di produrre degli atti di lealtà.
Lealtà? Si spieghi meglio.
Il problema è che l’Italia ha pensato bene di firmare appena pochi mesi fa un trattato con i cinesi. È una mossa che solo personaggi inesperti come il nostro primo ministro potevano fare. Se questi signori credevano di poterla passare liscia, si sono sbagliati di grosso.
A questo punto siamo preoccupati, professore, perché uno degli interlocutori di Pompeo in questa visita romana è quel ministro degli Esteri Luigi Di Maio che tanto spinse per la firma del Memorandum con la Cina sulla via della Seta. Lo stesso ministro peraltro che, non appena ottenuto il nuovo incarico alla Farnesina, ha promosso l’ambasciatore in Cina Ettore Sequi a un ruolo apicale al ministero. Si mettono male le cose per noi?
Si mettono male perché siamo produttori di grana e di vino. La questione, ripeto, è molto semplice: gli americani non sono più disposti a tollerare certi comportamenti cerchiobottisti del nostro paese, che con una mano mette il golden power sul 5G e con l’altra accetta due miliardi di euro di investimenti di Huawei a Milano. Gli Usa ci stanno facendo chiaramente capire che se vogliamo comportarci in questo modo, siamo liberissimi, poi però non dovremo lamentarci se raddoppieranno i dazi sul grana. Non dovrei dirlo, ma ci stanno trattando come degli idioti. Ad ogni modo, ripeto quel che ho detto all’inizio, ossia che il vero punto politico di questo viaggio di Pompeo è la visita dal Papa.
Perché?
L’America per mantenere una posizione di pressione sulla Cina ha bisogno che il Vaticano rimanga neutrale. È come la questione dell’Italia: l’intelligence Usa sa benissimo che Roma ha preso una posizione filo-cinese un po’ perché abbiamo delle persone non troppo intelligenti, un po’ perché c’è della gente a libro paga dei cinesi, e un po’ – ma dovrei dire soprattutto – perché il Vaticano ha spinto moltissimo l’Italia ad avere un atteggiamento convergente con la Cina per poi avere in cambio una serie di concessioni dalla Cina stessa. Ecco, dunque, che ora l’America chiede al Vaticano non un cambio di posizione, ma la neutralità.
La Santa Sede è in grado secondo lei di assicurare tale neutralità?
Il Vaticano è molto diviso su questa questione, anche perché c’è una ribellione dei cattolici in Cina per l’accordo dell’anno scorso tra Santa Sede e Cina sulla nomina dei vescovi. C’è viceversa una corrente filo-cinese molto forte, che comprende anzitutto i gesuiti.
Giusto l’altro ieri però la Cina, in occasione della parata organizzata per i 70 anni di fondazione della Repubblica Popolare, ha mostrato i muscoli, esibendo per intero il suo possente arsenale, ivi incluso il missile balistico intercontinentale supersonico che può scagliare una decina di testate atomiche su qualsiasi punto del territorio americano. Non è che questo duro confronto tra superpotenze sta finendo fuori controllo?
La manifestazione di Pechino è stata copiata da quelle che faceva Hitler. Sul piano scenico peraltro era bellissima, e infatti era stata preparata da mesi. Per inciso, dobbiamo chiederci se i complimenti che Trump ha fatto a Xi Jinping erano sinceri, o erano una presa per i fondelli. Perché quello che i cinesi hanno mostrato era carpenteria metallica. Gli americani sulla tecnologia di guerra sono avanti almeno di quindici anni.
In chiave di rielezione, a Trump conviene più un accordo con la Cina o continuare quest’offensiva cercando di umiliare il più possibile il suo avversario?
Se Trump dovesse intravedere una chance di ottenere una vittoria diplomatica, la perseguirà. Questo peraltro è il suggerimento molto intelligente che Pompeo ha dato a Trump, contro i consigli di John Bolton che come sappiamo è stato appena licenziato dalla Casa Bianca. Se però Trump ritenesse di non potercela fare, allora sceglierà, per la sua campagna elettorale, una modalità da presidente di guerra. Sarà dunque adottato il registro dello scontro totale con l’impero del male, quello che uccide gli studenti, che ha i campi di concentramento, che conculca tutte le libertà, che ruba le tecnologie, che controlla ogni singolo individuo attraverso i telefonini. È un nemico perfetto, la Cina.
Nella seconda ipotesi, quali altre mosse anti-cinesi dobbiamo attenderci dagli Usa?
Anzitutto il veto agli investimenti americani in Cina e l’estromissione delle aziende cinesi dalla Borsa di New York. Ci saranno poi azioni di tipo politico e militare volte a cingere d’assedio la Cina, con interventi fatti in concerto con le nazioni che sono più vicine alla Cina come il Vietnam. Questa strategia peraltro è già iniziata con l’invito fatto a Putin a rientrare nel G8. Nella geopolitica del XIX secolo questa, per inciso, era la normalità.