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Giappone Taiwan

Ecco i piani di Usa e Giappone in caso di crisi a Taiwan

L'analisi di Giovanni Martinelli

 

Mentre l’Europa, o almeno una sua parte, è in qualche modo assorbita dalla crisi al confine tra Ucraina e Russia, anche altre zone del mondo sono attraversate da forti tensioni. E in questo senso, è innegabile che il Mar cinese meridionale debba essere ormai considerato proprio come il luogo “più caldo” del pianeta.

Su questo bacino d’acqua si concentrano infatti gli interessi contrastanti non solo dei numerosi Paesi che vi si affacciano ma, vista ormai la grande importanza legata a diversi fattori, pure quelli di altri nella regione del Pacifico; e anche oltre. Come dimostra la crescente attenzione, per esempio, di alcuni Paesi Europei.

E nell’ambito delle numerose dispute che vi insistono, il primo posto in quanto a pericolosità spetta (indiscutibilmente) a Taiwan. Quella che Pechino considera una “provincia ribelle”, rispetto alla quale non ha mai fatto mistero di puntare alla riunificazione; anche con la forza. Da qui nasce la crescente pressione che la Cina sta esercitando verso di essa, forte anche della sempre più schiacciante superiorità dal punto di vista militare. E così, oggi più che mai, l’unica vera garanzia di sopravvivenza per Taipei in caso di attacco sarebbe l’appoggio diretto degli Stati Uniti.

Negli ultimi tempi però le cose stanno cambiando; con altri Paesi della regione che hanno indicato (più o meno) chiaramente la disponibilità ad agire in difesa dell’isola. L’Australia per esempio ma, anche e quale dato ancora più interessante, il Giappone; quest’ultimo sta infatti ormai rapidamente adattando propri indirizzi strategici in tal senso. Interessante si diceva, perché per Tokyo e la sua costituzione “pacifista” un atteggiamento più assertivo rappresenta un notevole cambiamento.

È in questo quadro che si inseriscono quindi le indiscrezioni che arrivano dal Giappone, secondo le quali le Forze di auto-difesa di Tokyo (questo infatti è il nome ufficiale delle Forze armate del Paese asiatico) e i militari americani hanno cominciato a elaborare un piano operativo congiunto nel caso dovesse scoppiare una grave crisi a Taiwan. Per ora a livello di bozza ma, già in occasione dell’incontro tra alti esponenti dei 2 Paesi previsto per i primi di gennaio, ci potrebbe essere il via libera per una definizione nel dettaglio.

Dal punto di vista geografico, al centro di questo piano ci sarebbe la lunga catena delle circa 200 Nansei (note anche come Ryukyu), che si estendono da sud dell’isola di Kyushu fino a poche decine di chilometri da Taiwan stesso. Dunque, molte di queste rivestono un’importanza davvero strategica.

Da quello operativo invece, il ruolo più importante sarebbe rivestito dal Corpo dei Marines americani; che nel sua azione riceverebbe il supporto delle Forze giapponesi. Nel dettaglio, i primi farebbero perno sulle loro attuali dottrine operative, che prevedono di impiegare contingenti numericamente ridotti ma molto mobili, in grado di stabilire basi temporanee, presso le quali dispiegare sistemi di lanciarazzi a lungo raggio e batterie missilistiche per l’attacco a bersagli navali e terrestri.

Ovviamente, anche le altre Forze armate americane sarebbero chiamate a partecipare allo sforzo bellico; in particolare, con la Us Navy e la Us Air Force a rivestire un ruolo di primo piano in funzione sia difensiva, sia offensiva. Del resto, si ricorda che la presenza militare Americana in Giappone, per quanto ridimensionata negli ultimi anni, è ancora significativa. E comunque, gli Usa stessi stanno cercando il più possibile di rafforzarsi in tutto il Pacifico.

Compito del Giappone sarebbe dunque quello di fornire supporto logistico e protezione. All’apparenza dunque, non molto; con il grosso dell’impegno militare affidato perciò agli Usa. In realtà, è evidente che i circa 40 siti candidati a ospitare queste basi temporanee sarebbero comunque sul suolo giapponese, coinvolgendo a tutti gli effetti il Paese in un eventuale conflitto; con tutte le conseguenze del caso.

Un tema delicato quindi perché, come già ricordato, la costituzione (ma anche la stessa opinione pubblica) del Paese hanno ancora una forte impronta “pacifista”. E per questo potrebbero anche essere possibili delle resistenze.

Intanto però, almeno a giudicare da bilanci della Difesa, Tokyo non si ferma di certo; per il 2022 è stato appena approvato il decimo rialzo consecutivo, per l’equivalente di circa 47,2 miliardi di dollari. Ma non finisce  qui, perché per il periodo 2023-2027 sono già programmati altri 265 miliardi totali. Insomma, cifre davvero importanti.

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