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La Turchia di Erdogan cucinerà la Nato di domani, ecco come

Tutte le mosse della Turchia fra Nato, Russia e Ucraina

 

Nel 2011 Tayyip Erdogan era contrario sia alle operazioni militari che alle sanzioni economiche contro il regime libico. “Che affari ha la Nato in Libia?”, chiedeva. Sembrava determinato a tenersi fuori. È durata qualche giorno – il tempo di quale polemica e della sua rabbia per i raid aerei guidati dall’Occidente – perché revocasse l’opposizione, schierandosi con gli alleati atlantici, diventando infine uno dei principali attori del conflitto.

È solo uno degli esempi possibili delle puntate precedenti messe in onda dal leader turco. Si propone di rimanere neutrale e di mediare tra le parti. Ma non gli riesce a lungo. “Al contrario, con l’escalation della crisi e la formazione di blocchi, Ankara tende a prendere decisioni sempre più radicali”, scrive Hasim Tekines, che ha lavorato presso il ministero degli Esteri turco.

Nell’invasione russa dell’Ucraina, “uno dei paesi più colpiti è la Turchia, che da molto tempo beneficia di forti legami sia con Mosca che con Kiev”, osserva Politico. Per Dimitar Bechevis, docente presso la Oxford School of Global and Area Studies, il delicato equilibrio di Ankara tra i suoi due partner “sta diventando molto più difficile da sostenere man mano che i combattimenti si intensificano e l’Occidente aumenta la pressione sul presidente russo Vladimir Putin. In quanto parte della Nato e peso massimo regionale, la Turchia è sottoposta a forti pressioni per scegliere da che parte stare”.

Il playbook del mediatore, Ankara lo ha già interpretato. Prima Erdogan ha invitato Putin e il presidente Volodymyr Zelensky in Turchia con un’offerta di mediazione. Senza risposta. Si è invece tenuto giovedì scorso il vertice di Antalya, al margine del Diplomacy Forum, tramite il ministro degli Esteri Mevlüt Cavusoglu. Ha messo intorno a un tavolo due delegazioni di altissimo livello, rispettivamente guidate dal ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov e dal suo omologo ucraino Dmytro Kuleba. Il fallimento, largamente previsto, si è puntualmente avverato.

E adesso che fare? Schierarsi con gli Stati Uniti e la Ue, sposandone le sanzioni anti Putin – finora rifiutate – e le prossime mosse – qualora ci siano –, o mantenersi in una neutralità che ha il sapore di un improbabile silenzio-assenso alla Russia? In realtà la risposta al conflitto in Ucraina è per la Turchia soprattutto un test per la sua futura collocazione nella cerniera tra Europa e Asia.

Ankara, come Mosca, è erede di un ex impero. La Turchia come la Russia ha una profonda anima nazionalista. Due nazionalismi che allontanano i due paesi negli interessi strategici, ma li avvicinano nel temperamento. Per dire: coloro che si definiscono socialdemocratici in Turchia difendono la tesi difesa dall’estrema destra in Europa sull’invasione russa dell’Ucraina. Perché la maggior parte di coloro che affermano di essere socialdemocratici in Turchia sono in realtà nazionalisti. Come svela, ad esempio, la posizione twitter di Barış Yarkadaş voce ascoltata del Partito Repubblicano Popolare, sponda socialdemocratica turca.

La Turchia si sente totalmente autonoma nella Nato. Non ha imposto sanzioni o chiuso lo spazio aereo alla Russia, anche se ha condannato l’invasione senza ambiguità. Nei giorni precedenti il 24 febbraio, Erdogan aveva chiesto moderazione e rispetto del diritto internazionale.

La Turchia ha acquistato il sistema di difesa missilistico russo S-400 – una decisione che da allora ha complicato le sue relazioni con gli Stati Uniti – ma ha venduto i suoi Bayraktar, i droni armati a lungo raggio, all’Ucraina. A dicembre Putin si è personalmente lamentato con Erdogan per la vendita dei droni.

In posizione geograficamente strategica, ha chiuso il Bosforo e i Dardanelli alle navi da guerra russe. Decisione al momento più che altro simbolica: le navi sono già entrate e possono uscire. Però, certo, è impedito il ricambio della flotta.

Molteplici gli interessi in settori strategici. Come fotografa l’Ispi, la Russia è il primo fornitore di gas della Turchia – oltre il 33% degli approvvigionamenti. La società russa Rosatom sta sviluppando una centrale nucleare turca nell’Anatolia meridionale, che dal 2025 dovrebbe soddisfare circa il 10% del fabbisogno di elettricità. La Russia è inoltre il terzo partner commerciale della Turchia con un interscambio di 34,7 miliardi di dollari nel 2021.

“Non trascurabile, in questo senso – osserva Limes – il fatto che il 4 marzo il Cremlino abbia deciso di aumentare le importazioni di prodotti agricoli dalla Turchia,  esclusa dalla lista dei paesi ostili pubblicata il 7 marzo. Si tratta di un indicatore fondamentale dello stato dei rapporti tra Ankara e Mosca, dal momento che la limitazione all’import di derrate alimentari anatoliche è generalmente il primo segnale che Putin invia a Erdogan per manifestargli la propria insoddisfazione”.

Abbondano però gli elementi di frizione, che vedono i due ex imperi seduti su palchi opposti in importanti teatri della storia. Emblematico l’esempio della Siria. Dal 2011, la politica turca ha avuto una premessa: cacciare Assad, che la Russia ha invece sostenuto con successo. La politica siriana di Ankara è fallita e quella di Mosca ha avuto successo.

Sensazione condivisa tra gli analisti è che la Turchia tema la Russia. Per alcuni, il comportamento della Russia presenta ormai Mosca come il nemico comune all’Occidente che “potrebbe trasformare [la Turchia] nell’alleato che dovrebbe essere”.  La minaccia russa, dopotutto, è sempre stata un potente catalizzatore dell’occidentalizzazione in Turchia.

Un punto di vista alternativo, date le fiorenti relazioni tra Turchia e Russia, offre invece che è più probabile che la Turchia si sieda ai margini riguardo a questo particolare conflitto. Certo: in contrasto con i suoi crescenti dubbi sulle sue relazioni con gli Stati Uniti e l’Unione Europea, le relazioni dirette turco-russe si sono costantemente sviluppate. Ma alcuni a Washington si aspettano – auspicano –  il ritorno della Turchia, figliol prodigo della Nato, come membro di buona reputazione nell’Alleanza. La Turchia, si pensa, è allarmata dalla rinascita del potere russo, soprattutto nel Mar Nero. Il governo del presidente Erdogan ha poi coltivato forti relazioni con l’Ucraina e sarebbe sconvolto nel vedere la sovranità del paese violata dal nemico storico della Turchia.

In effetti, sembra più probabile il contrario. Secondo Selim Koru, del Foreign Policy Research Institute di Filadelfia, “se Putin ottiene un’importante vittoria militare contro l’Ucraina ed è in grado di resistere alle conseguenze economiche e diplomatiche, accelererà solo il passaggio della Turchia a una posizione post-Nato”.

Osserva War on the rocks: “A differenza della Guerra Fredda, Ankara non considera necessariamente la rinascita russa una minaccia. Questo perché la visione del mondo di Erdogan, così come della destra turca nel suo insieme, è molto più vicina a quella di Putin che a quella delle élite liberali occidentali. Questo può sembrare irrilevante per i responsabili politici, ma è lo sfondo emotivo dell’intero apparato politico, che modella le percezioni popolari e la cultura strategica”. Lo sfondo nel quale potrebbe svilupparsi ulteriormente il passaggio di Ankara a una posizione post-Nato.

La Turchia ha beneficiato dell’adesione all’Alleanza. Il suo esercito è stato completamente modellato dalla cultura, dagli standard e dalla tecnologia della Nato. E ha ripagato l’alleanza, onorando i suoi obblighi contribuendo alle missioni in Kosovo e Afghanistan e ospitando il comando terrestre della Nato. Prosegue War on the rocks: “La sua attuale politica non consiste nel lasciare la Nato, ma piuttosto nel cambiare prospettiva”.

Intanto la Turchia approfitta della contingenza per la propria neutralità attiva nel conflitto: sostegno militare a Kiev, ma nessuna azione ostile contro Mosca. E critica l’Onu. Erdogan al Diplomacy Forum non le ha mandate a dire: “Quando una delle parti in conflitto è diventata un membro permanente con diritto di veto (riferimento alla Russia, ndr), il ruolo del Consiglio di sicurezza è andato sprecato e il sistema è fallito. All’Assemblea generale delle Nazioni Unite non sono state prese misure per porre fine ai conflitti”. Parole che più che appunto alla Russia, suonano come osservazioni all’Onu da una collocazione di un’Ankara post-Nato senza uscire dalla Nato. In una fase dove cresce l’interesse a collaborare a progetti concreti e almeno. ad ampliare le relazioni con la Cina. Guarda caso come sta facendo Mosca.

Stando così le cose, la considerazione immediata della Turchia è economica. La guerra tra Ucraina e Russia sarà terribile per la già fragile economia turca. Oltre agli interessi in comune con la Russia, la Turchia ha anche accordi per importare motori ucraini per alcuni dei suoi principali sistemi d’arma. Compresi i materiali per l’elicottero d’attacco T929 Atak e il drone Bayraktar. Un bel dilemma.

Al momento non dovremmo escludere passi turchi più radicali contro la Russia, ma forse non dovremmo nemmeno aspettarci nuove e più appassionate relazioni americano-turche.

“In termini di ambizioni espansionistiche, aggressività, sentimenti anti-occidentali e carattere autoritario, Erdogan non è molto diverso da Putin come leader, anche se con una capacità militare più debole. Come Putin, è ansioso di ridisegnare i suoi confini territoriali e stabilire un’ampia zona di influenza – scrive il Fikra Forum del Washington Institute –. Washington e Ankara possono avere temporaneamente posizioni congruenti su alcune questioni, anche importanti, ma le visioni e gli interessi incompatibili delle due parti, per non parlare della mancanza di fiducia reciproca, rendono improbabile un vero riavvicinamento”.

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