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Bonafede

Ecco come il Fatto Quotidiano travaglieggia sul Movimento 5 Stelle. I Graffi di Damato

La scoppola elettorale di M5S in Emilia-Romagna, le divisioni in 3 correnti, il ruolo di Crimi e Bonafede e le cronache commentose del Fatto Quotidiano di Travaglio. I Graffi di Francesco Damato L’ascesa del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede a capo della delegazione del suo movimento al governo è avvenuta in circostanze e modalità più…

L’ascesa del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede a capo della delegazione del suo movimento al governo è avvenuta in circostanze e modalità più importanti o significative dello stesso fatto in sé. Esse aiutano a capirne le ragioni, o a intravvederne gli effetti.

Innanzitutto il reggente delle 5 Stelle Vito Crimi, dopo le dimissioni di Luigi Di Maio da “capo politico”, ha voluto incontrarsi prima a Milano con Davide Casaleggio e poi a Roma con i ministri e i sottosegretari del movimento per la soluzione del problema posto, in verità, più da lui stesso che dal suo predecessore alla testa della formazione grillina. Basta rileggersi bene e risentire la registrazione dell’intervento di Di Maio al tempio di Adriano, con l’annuncio della sua rinuncia, per rendersi conto ch’essa riguardava solo la carica di capo politico, appunto, del movimento e non di capo della delegazione al governo. Dove peraltro come ministro degli Esteri ha la funzione più alta fra tutti i colleghi, anche se il suo arrivo alla Farnesina sembrò, in verità, più un premio di consolazione che una promozione, non essendo egli riuscito ad ottenere né la conferma a vice presidente del Consiglio né la nomina a ministro dell’Interno, al posto dell’autodefenestrato ed ex alleato Matteo Salvini.

Alla riunione dei ministri e dei sottosegretari convocata dal reggente Crimi, peraltro vice ministro dell’Interno, non ha partecipato Di Maio, formalmente preso dai suoi impegni internazionali e dall’emergenza della polmonite cinese che ha coinvolto anche la Farnesina per le competenze delle misure di prevenzione e di assistenza, protezione e quant’altro degli italiani presenti nel paese dove è scoppiata l’epidemia.

L’elezione del nuovo capo della delegazione è infine avvenuta per acclamazione, con tutti gli inconvenienti interpretativi cui una simile modalità si presta, a cominciare da quella dose così troppo grande di trasparenza da nascondere l’opposto, cioè il massimo della nebbia. Credo che sia una novità assoluta una sostanziale rimozione, sia pure indiretta, avvenuta per acclamazione.

Tra le circostanze, diciamo così, curiose dell’ascesa di Bonafede a capo della delegazione grillina al governo va messa anche l’ufficializzazione, in qualche modo, della divisione in tre filoni del Movimento delle 5 Stelle sul giornale che ne riflette maggiormente gli umori, ne fotografa più da vicino gli aspetti e spesso ne anticipa anche gli indirizzi, o indirizza direttamente gli interessati, com’è avvenuto nelle elezioni regionali in Emilia-Romagna. In occasione delle quali il direttore in persona del giornale ha promosso il cosiddetto voto disgiunto a favore della conferma del governatore piddino uscente. Si era spinto, poveretto, a raccomandare il voto disgiunto anche in Calabria prima di essere avvertito che lì non si poteva fare per legge e di scusarsi con franchezza per l’errore. Sto scrivendo naturalmente del Fatto Quotidiano, che ha appena intestato su tutta la sua prima pagina i tre “tronconi” grillini anticipati genericamente il giorno prima sullo stesso Fatto Quotidiano con una intervista dal senatore pentastellato Massimo Bugani.

“Parte la corsa tra Contiani, Dibba e Dimaiani”, ha titolato il giornale diretto da Marco Travaglio. Per contiani debbono essere ovviamente considerati i fans del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, per Dibba l’apparentemente turista, per ora, Alessandro Di Battista e per Dimaiani i tifosi del giovane e adesso semplice ministro degli Esteri, cui molti attribuiscono, a torto o a ragione, progetti di ritorno alla guida del movimento su posizioni né di destra né di sinistra, e quindi contrarie all’appartenenza organica ad uno dei due poli comunque definibili – progressisti e conservatori, centrosinistra e centrodestra – immaginati, perseguiti e quant’altro da Conte e dal segretario del Pd Nicola Zingaretti.

Bonafede ha sempre non dichiarato ma ostentato la sua amicizia con Di Maio, ma ancora prima di lui egli aveva conosciuto, frequentato, apprezzato e introdotto nel movimento grillino l’allora suo professore di diritto Giuseppe Conte. Alla cui mediazione il guardasigilli si è appena rimesso nella partita delicatissima della prescrizione, in cui potrebbe inciampare il governo giallorosso, dove cresce giustamente la paura che la riforma introdotta proprio da Bonafede come una supposta a suo tempo, con la guardia abbassata degli allora alleati leghisti, nella legge nota come “spazzacorrotti”, si traduca nei processi a vita, una volta emessa la sentenza di primo grado.

Ebbene, Bonafede è l’unico al quale Conte potrebbe fare ingoiare come guardasigilli e capo della delegazione grillina al governo il rospo di una sostanziale riscrittura della sua riforma sventolata come una bandiera rivoluzionaria indovinate da chi? Dal Fatto Quotidiano, naturalmente.

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