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Ecco come Casellati ha frenato le frenesie di Conte sull’emergenza

Perché il Fatto Quotidiano ha sottovalutato il ruolo del presidente del Senato, Casellati

Non ditelo, per favore, a quelli del Fatto Quotidiano, che non se ne sono ancora accorti scambiando anzi per un’altra vittoria del loro beneamato presidente del Consiglio Giuseppe Conte il passaggio appena consumatosi al Senato per autorizzare il governo a prorogare sino al 15 ottobre lo stato di emergenza per l’epidemia virale. “Salvini & C ancora sconfitti”, ha titolato sulla prima pagina il giornale di Marco Travaglio sbandierando i 157 voti raccolti dalla mozione della maggioranza contro i 125 no delle opposizioni unite del centrodestra.

Ciò che Il Fatto ha omesso di ricordare è che l’intenzione annunciata originariamente dal governo era di prorogare l’emergenza, e i poteri speciali che ne derivano, sino al 31 dicembre provocando —contro il silenzio del comprensivo presidente grillino della Camera Roberto Fico — le proteste della presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. Che denunciò le condizioni ormai di “invisibili” dei parlamentari e annunciò che sulla questione avrebbe fatto riprendere al Senato l’abitudine di votare.

Dal governo, e dal giornale che lo sostiene ormai sistematicamente, si rispose che la signora si era “sparata sui piedi” perché in aula Conte aveva già deciso di  mandare a riferire sull’epidemia il ministro della Salute Roberto Speranza. Alle cui comunicazioni, o informativa, limitate alla proroga a fine luglio di alcune misure che stavano per scadere in quei giorni, la presidente del Senato fece comunque  seguire una votazione, giusto per chiarire il cambiamento di musica. Il punto fu successivamente ribadito con una intervista al Messaggero di monito a Conte a “non fare da solo” perché “l’ultima parola è delle Camere”.

Alla fine è toccato al presidente del Consiglio di riferire di persona proprio al Senato accorciando la proroga, come si è accennato, dal 31 dicembre al 15 ottobre, dopo avere tentato la data del 31 ottobre, contestata però all’interno della maggioranza dal Pd. Ma anche in questa versione ridotta, e criticata da tutte le componenti dell’opposizione del centrodestra, con tanto  anche di telefonata di Matteo Salvini al presidente della Repubblica in persona, il governo si è dovuto accontentare di soli 157 voti e registrare il no di un altro dissidente grillino. I 157 “sì” sono stati sufficienti per far passare la mozione sulla proroga dell’emergenza virale con annessi e connessi — stavolta tuttavia non col via libera ai soliti decreti del presidente del Consiglio dei Ministri caduti come pioggia nei mesi scorsi direttamente sui cittadini, saltando le Camere — ma non lo sarebbero  per l’approvazione del nuovo sforamento di bilancio per altri 25 miliardi appena proposto dal governo. Occorrono per questo almeno 160 voti.

Ciò consente di avere ben chiaro il quadro di incertezza, e di pericolo, in cui ormai si nuove la maggioranza giallorossa del secondo governo Conte. Ma soprattutto — ripeto — fa capire abbastanza bene i vincoli dei rapporti fra l’esecutivo e il Parlamento che si erano un pò troppo allentati e che la presidente del Senato ha voluto ristabilire, ben sapendo naturalmente che proprio a Palazzo Madama, diversamente da Montecitorio, i numeri per la maggioranza sono quelli che sono: alquanto incerti o ballerini.

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