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E’ la prima pandemia sotto il segno della “morte di Dio”. Il pensiero di Ocone

“Ocone’s corner”, la rubrica settimanale di Corrado Ocone, filosofo e saggista

Le epidemie e le pandemie non sono certo una novità del nostro tempo: la storia occidentale le ha conosciute periodicamente, con tutto il loro carico di catastrofiche conseguenze. È indubbio però che questa nuova rappresenti, per tanti aspetti, una novità, la quale è connessa al nostro stesso mondo: quello che si è venuto a costituire, negli ultimi decenni, sotto il segno della globalizzazione, il predominio della tecnica, il dispiegamento dei processi di razionalizzazione e la rivoluzione digitale.

Ciò comporta, come ho già avuto modo dire, conseguenze sistemiche a livello globale, rapidità e in qualche misura incontrollabilità del contagio, intervento in misura massiccia delle tecniche di elaborazione dei dati, comunicazione in tempo reale ma non per questo sempre “trasparente” ed efficace.

C’è però anche una novità più di sostanza, a me sembra, in questi giorni quasi del tutto trascurata (e già questo è significativo): è la prima volta che l’uomo occidentale vive generalmente uno shock di questo tipo senza il conforto del sacro, senza cioè trovare rifugio e consolazione nella religione.

La stessa polemica sul tenere ancora chiuse o no le chiese, quasi che alle celebrazioni delle messe fossero previste copiose presenze di fedeli, il che non è, è dopo tutto marginale nel dibattito pubblico e viene considerata alla stregua di un problema secondario e di poca rilevanza.

D’altronde, in quel dibattito raramente si interpella un prete, mentre la fanno da protagonisti politici, economisti, scienziati. E seppure lo si interpella è per farci dare vaghi ammonimenti di tipo etico o ecologico, come potrebbe fare una qualsiasi agenzia delle Nazioni Unite o un’organizzazione “umanitaria” no profit.

È come se la religione avesse perso tutta la sua gravitas, quel sentimento tragico della vicenda umana che non è facilmente conciliabile con la retorica dei buoni sentimenti. La quale, scrostata appena un po’ la patina avvolgente che la costituisce, può svelare i più crudeli cinismi e la più egoistica indifferenza umana alle sorti del prossimo.

La stessa Chiesa cattolica, dispiace dirlo, sembra essersi adagiata alla situazione del tempo, tanto che la sua voce e sapienza bimillenarie sono del tutto assenti e se si fanno presenti sembrano confondersi nella melassa generale per la loro genericità e per la loro conformità ad essa.

È un processo biunivoco, ovviamente: la dimensione del sacro è assente, ma non viene nemmeno cercato. Il ruolo che era un tempo dei preti è demandato agli scienziati, a cui tutti rendono omaggio e si prostrano, a cominciare dalle autorità pubbliche che tengono costantemente a precisare che ogni decisione sarà presa in base al loro parere.

Si esulta per un ritrovato valore della competenza, e poco si considera il fatto che gli scienziati sembrano in questo frangente avere le idee alquanto confuse pur pretendendo di dettarci loro le regole.

Traendo le fila del discorso, si può dire che questa è la prima pandemia avvenuta sotto il segno inequivocabile della “morte di Dio”, e quindi del nichilismo e in fondo dell’indifferentismo morale.

Il che, da una parte, è legato a doppio filo ai suddetti processi di razionalizzazione; dall’altra ci porta a fraintenderne il significato, quasi pensando che da quella parte (ad esempio dalla razionalizzazione dei comportamenti etici per via politically correct) possa arrivare la risposta a quel nulla di senso in cui è precipitata la nostra condizione esistenziale.

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