Mario Draghi dunque – il “Rieccolo” ribattezzato dall’Unità come Indro Montanelli scriveva di Amintore Fanfani – si sarebbe lasciato tentare da Bruxelles per scalare nella Ue la presidenza o della Commissione esecutiva o del Consiglio Europeo.
Se così fosse davvero, come hanno scritto un po’ tutti i giornali anche di orientamento politico opposto, egli non avrebbe tenuto conto del pessimismo della moglie Serenella. Che recentemente si è abbandonata ad uno sfogo col Foglio contro la invidiosa e insuperabile ostilità dei politici al marito, già sperimentata quando, da “nonno a disposizione delle istituzioni”, egli si propose di fatto per un trasloco da Palazzo Chigi, dove aveva preso il posto di Giuseppe Conte, a quello che è in tutti i sensi il colle più alto di Roma.
VON DER LEYEN OSTACOLA DRAGHI?
A passare a Draghi la palla in questa nuova partita sarebbe stata autolesionisticamente la stessa presidente uscente della Commissione, la tedesca Ursula von der Leyen, candidata alla conferma dal suo partito, quello dei popolari, conferendogli l’incarico di uno studio e di un rapporto sui problemi vitali della competitività nell’Unione. Che Draghi ha svolto con la solita competenza e solerzia anticipandone la conclusione con la prospettazione di una svolta comunitaria “radicale”, essendo l’Unione nata ed essendosi via via regolamentata in condizioni ormai superate dai tempi, anzi superatissime. E chi meglio di lui – è sembrato il sottinteso del suo ragionamento – potrebbe garantire e gestire il cambiamento, forte anche della lunga esperienza maturata alla presidenza della Banca Centrale Europea. Dove egli salvò con la propria determinazione la moneta unica da un clamoroso fallimento.
Ci sarà da vedere naturalmente se dopo le elezioni europee del 9 giugno si potranno o vorranno creare le condizioni, cioè le convergenze politiche necessarie alla scalata dell’ex premier italiano. Cui il presidente del Senato Ignazio La Russa – presumibilmente non a sorpresa della collega ed amica di partito, e presidente del Consiglio, Giorgia Meloni – ha tenuto a riconoscere tutte le qualità richieste dalle postazioni alle quali sembra volere puntare.
Eppure, si è alzata anche dal giornale diretto dall’ex portavoce della Meloni, Libero di Mario Sechi, oltre che dal prevedibilissimo Fatto Quotidiano di Marco Travaglio, una voce se non contraria, quanto meno scettica.
Ha quasi accomunato il diavolo e l’acqua santa la sensazione che Draghi sia troppo tecnico ed elitario rispetto ad una soluzione politica determinata dal consenso popolare, o elettorale. Sechi, in particolare, che attribuisce al rapporto poco curato da Draghi con i partiti il fallimento della sua corsa al Quirinale, senza accusarlo del “Conticidio” contestato invece da Travaglio, immagina il “Rieccolo” alla guida dell’Unione come un navigante abituato al “pilota automatico”. Che non si accorge di vittime e danni lungo il percorso, o sottovaluta le une e gli altri. “Roba vecchia”, ha chiosato Il Fatto.