Da presidente degli Stati Uniti con pieni e forti poteri, Donald Trump ha già cominciato a esercitarli a suon di “ordini esecutivi”, firmati e sventolati per far capire a tutti che la musica è cambiata.
Perciò l’Europa farà bene a distinguere in fretta i roboanti, ma inattuabili proclami della campagna elettorale trumpiana dalle promesse che l’uomo al comando della principale potenza del globo vorrà e potrà mantenere.
Fra queste figurano i dazi annunciati per proteggere il mercato americano dallo squilibrio -come il presidente lo considera-, delle incursioni commerciali altrui (più in là per gli europei si porrà pure la questione del sollecitato aumento al 5% del Pil, dal 2, per le spese di difesa).
Ma intanto dal 1° febbraio partiranno le prime tariffe imposte a Canada e Messico e potrebbe scattare pure il 10% di dazi nei confronti della Cina per il fentanyl. Ma “sistemati” i vicini e la lontana e insidiosa altra potenza in Asia, toccherà all’Europa per il “cattivo trattamento” – così ha detto – che è stato riservato al suo Paese. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione, ha già risposto che l’Unione dei 27 dovrà riaffermare la sua sovranità economica e reagire all’insegna dell’unità. Posto che la possibile politica dei dazi selettivi da parte americana (a questo Paese sì, a quell’altro no) finirebbe per indebolire tutti. E per ridurre i governi europei a beccarsi l’uno con l’altro come i manzoniani capponi di Renzo.
In ogni caso l’eventualità di contrappore ai dazi anti-europei dazi anti-americani sarebbe una reazione legittima, ma di corto respiro. Con il nostro più importante e insostituibile alleato d’Oltreoceano la strategia non può essere dell’occhio per occhio, bensì di un’intesa politica per far convivere le richieste di Trump con le libere esigenze d’Europa. Non la guerra commerciale, ma la trattativa consapevole è l’arma più forte.
In concreto, dopo averlo dimostrato al tempo della guerra al Covid (2020) e della guerra di Putin (2022), l’Ue deve ritrovare la sua ragion d’essere di fronte alla terza e nuova sfida di Trump. E poi ha a disposizione il rapporto teorico e pratico sulla competitività elaborato da Mario Draghi per capire “come si fa”, da europei, a non essere solo un’espressione geografica.
In questo momento, inoltre, l’Ue senza leader può contare sul ruolo e sul rapporto speciale che la nostra presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha costruito con Trump. Accanto all’istituzionale von der Leyen c’è, dunque, un’interlocutrice euroatlantica ben vista dal presidente Usa, e che può interloquire sia nell’interesse del made in Italy per il suo secondo mercato al mondo dopo quello in Germania (l’anno scorso 67,2 miliardi di esportazioni italiane in America), sia in nome dell’Ue. Di cui l’Italia è parte fondativa, essenziale e oggi pure del leone, alla luce delle crisi politico/economiche in Francia e Germania.
Dunque, anche per la Meloni è una sfida che va al di là della politica, e che mette pure lei alla prova: contribuire a far ritrovare all’Europa lo spirito unitario e il tranquillo orgoglio di sé.
(Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova)
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