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Giornalisti

Perché critico (anche) le critiche dei giornalisti

Quando la realtà è subordinata all'interpretazione. La conferenza stampa di Meloni, ma soprattutto le criticatissime domande dei giornalisti, nel commento di Battista Falconi.

È più facile criticare che costruire, inadeguati sono sempre gli altri e, per citare De André, diamo buoni consigli se non possiamo dare cattivo esempio. È così per qualunque essere umano, la comunicazione e la politica non fanno certo eccezione. Colpisce però, nel leggere e ascoltare i commenti alla conferenza stampa di Giorgia Meloni, come giornalisti e comunicatori contestino quasi più le domande delle risposte, sostenendo che non si è andati a scavare nel profondo e che si sono evitate le questioni più scomode. Curioso, molto, che a dirlo siano gli appartenenti alla stessa categoria che nell’incontro avrebbe dovuto assolvere al compito talvolta definito, con un dispendio enfatico degno di migliore causa, di “cani da guardia della democrazia”. Spesso, le accuse arrivano addirittura dalle stesse testate che pure avevano un loro rappresentante accreditato alla Camera.

La questione fa il paio con quella, ricorrente nel dibattito politico, sulla debolezza dell’opposizione all’attuale governo e sull’inadeguatezza della classe dirigente di governo. Avremmo insomma, secondo questa lettura, sia dei media sia dei politici incapaci, senza distinzione di parte: forse è così, ma viene fortemente da dubitare che le cose andrebbero davvero meglio se i critici fossero al posto dei criticati. Questi ultimi, peraltro, in alcuni casi hanno già risposto, difendendosi e sostenendo che è il meccanismo della conferenza stampa a non consentire di entrare nel merito in modo più ficcante, per esempio dando la possibilità al giornalista di replicare alla risposta ricevuta. Ma se anche si permettesse questo, come avviene ad esempio nei talk show o nei dibattiti parlamentari, le cose non cambierebbero, poiché le parti contrapposte adducono a supporto delle loro posizioni elementi di fatto diversi o letture diverse dei medesimi fatti.

La soggettività dell’interpretazione, cioè, supera abbondantemente la presunta oggettività della realtà. Lo confermano anche gli esperimenti di “fact checking” nei quali, per esempio in occasione della conferenza stampa, le risposte di Giorgia Meloni vengono sottoposte a un presunto vaglio di correttezza, anch’esso però suscettibile di ulteriori deduzioni. È difficile da accettare, ed è una considerazione che può portare a un nichilismo pessimistico, ma ad essere fallace è proprio la pretesa di giungere a una definizione incontrovertibile dei fatti e delle cose. È un’utopia irraggiungibile, anche se sistemi sociali meno rissosi e più accomunati su valori e obiettivi fondamentali riescono a ridurre i margini di contrasto.

Un elemento che aiuterebbe da parte di tutti è ovviamente la concisione: se usassimo meno parole aiuteremo a costruire pensieri più efficaci e contraddittori più sostanziali. Ma in questo, sempre per tornare alla conferenza stampa, i giornalisti non sono stati certo meno colpevoli della Presidente.

L’incontro tanto atteso è stato segnato dall’impercettibile boicottaggio della Fnsi contro la cosiddetta “legge bavaglio”, cui sono stati dedicati un riferimento nell’introduzione del presidente dell’Ordine dei giornalisti, la breve replica di Meloni e le premesse a un paio di domande. Nell’ultima delle quali si è invece dichiarato il dissenso verso la protesta del sindacato di categoria e affrontato il tema della querelle tra il capo del governo e Chiara Ferragni: per limitare lo strapotere degli influencer, ha retoricamente chiesto il giornalista, non sarebbe utile un’informazione più professionale? Certamente sì. E anche un po’ più umile e autocritica.

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