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Strani imbarazzi a sinistra sul discorso meloniano

La sinistra non ha saputo reagire univocamente ai passaggi più significativi del discorso programmatico della presidente del Consiglio. I Graffi di Damato

 

Ho francamente perso il conto, ascoltandone dalle tribune della stampa alla Camera il discorso programmatico, delle volte in cui Giorgia Meloni è riuscita a fare scattare in piedi come una falange, compatti negli applausi, tutti i deputati del centrodestra. Dove pure serpeggiano malumori e quant’altro per le frustrazioni provocate dalla lista dei ministri e una diffusa volontà di rivincita nella distribuzione dei posti di vice ministro e sottosegretario. Che non a caso è stata rinviata a dopo la fiducia scontata di oggi a Montecitorio e di domani al Senato, giustificata nella sua rapidità dalle emergenze in atto e dagli appuntamenti europei e, più in generale, internazionali nell’agenda del governo.

In questa capacità oratoria, emotiva e quant’altro, acquisita in tanti anni di militanza politica a destra, dalle sezioni di partito alle piazze, Meloni si è già presa una bella soddisfazione conoscendo le tensioni interne al suo schieramento per le solite, vecchie ragioni e questioni di potere.

Mi ha fatto impressione, a questo proposito, l’irruenza con la quale Matteo Salvini è arrivato ai banchi di governo all’ultimo momento e, prendendo posto alla destra dello scranno della presidente del Consiglio non ancora presente, le ha quasi invaso lo scrittoio con le sue cartelle e altro materiale. Non più tardi di ieri nel suo ufficio di ministro delle Infrastrutture il leader leghista aveva voluto convocare il comandante della Guardia Costiera quasi per ammonire a distanza proprio la premier a non azzardarsi a togliergli davvero le competenze sui porti per darle al ministro “del mare”, e non solo del Sud, Nello Musumeci: un “fratello d’Italia” detronizzato da governatore della Sicilia per le resistenze opposte alla sua conferma nell’isola dai partiti di Silvio Berlusconi e dello stesso Salvini. Dai porti – si sa – il ministro delle infrastrutture, e vice presidente del Consiglio, intende vigilare direttamente sui “confini” minacciati dall’immigrazione clandestina.

La capacità di presa, mobilitazione, controllo e altro ancora dei parlamentari del suo schieramento da parte della Meloni deve avere impressionato l’opposizione di sinistra. Dove, pochi o molti che siano, pensano che la nuova premier possa durare molto meno dei cinque anni propostisi pubblicamente a causa delle divisioni, gelosie, frustrazioni e simili dei partiti della coalizione di centrodestra.

La stessa sinistra d’altronde non ha saputo reagire univocamente ai passaggi più significativi del discorso programmatico della presidente del Consiglio. Si sono alternati da quelle parti glaciali silenzi e indifferenze, sporadici applausi e adesioni più o meno immediate levandosi in piedi con la maggioranza. Ciò è accaduto, in particolare, levandosi cioè in piedi per applaudire, quando la Meloni ha ricordato i magistrati uccisi dalla mafia, a cominciare naturalmente da Paolo Borsellino, di simpatie notoriamente di destra, o ha ringraziato il personale sanitario mobilitatosi nella lotta al Covid, o ha rivolto un saluto a Papa Francesco. Di cui peraltro ha voluto ricordare a sorpresa un recente intervento contro la pretesa di combattere la povertà solo con l’assistenzialismo, per esempio, del reddito di cittadinanza politicamente targato 5 Stelle.

È curioso, a dir poco, che tra i passaggi del discorso della Meloni cui la sinistra è rimasta generalmente o prevalentemente indifferente nell’aula di Montecitorio sia stato quello patriottico – direbbe la stessa Meloni – di elogio e ringraziamento agli italiani morti nelle missioni internazionali di pace in varie parti del mondo. Chissà perché i caduti di Nassiria, per citare i più famosi, per i quali le piazze italiane si riempirono a suo tempo di lacrime e bandiere, non abbiano scaldato più di tanto i cuori della sinistra

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