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Difesa Europea

Difesa Ue, perché gli Usa di Biden aderiscono a un progetto Pesco

L'approfondimento di Alessandro Marrone, responsabile del Programma Difesa dello Iai, per Affarinternazionali

 

La riunione dei ministri della Difesa dei Paesi dell’Unione europea del 6 maggio ha preso una decisione politicamente e simbolicamente importante per i rapporti transatlantici: l’accettazione della richiesta di Washington di aderire ad un progetto della Permanent Structured Cooperation (Pesco), una delle due principali iniziative della difesa europea.

La Pesco nasce nel 2017 per favorire la cooperazione militare tra gli Stati membri dell’Unione, con importanti risvolti industriali e tecnologici, in una prospettiva di integrazione delle rispettive forze armate a sostegno della politica europea di sicurezza e difesa e delle missioni dell’Ue. Vi partecipano tutti gli Stati membri tranne Danimarca e Malta, e in due anni sono stati avviati 47 progetti di cooperazione a geometria variabile a seconda degli interessi dei Paesi partecipanti.

Che c’entrano dunque gli Stati Uniti? Nella visione francese, la Pesco dovrebbe essere uno dei pilastri dell’autonomia strategica dell’Unione, avere un elevato livello di ambizione, e fungere da motore per un maggiore impegno militare europeo in Africa – nonché per un rafforzamento dell’industria della difesa europea. Una visione che, nell’Ue post-Brexit e con la Germania non interessata ad una leadership nel campo della difesa, vede ovviamente la Francia in una posizione di guida.

TRA UNIONE E ALLEANZA

Nell’opinione prevalente in Germania, Italia ed Europa centro-orientale la Pesco dovrebbe aiutare gli stati membri a sviluppare migliori e maggiori capacità militari, che poi possono impiegarsi tanto in missioni Ue che nel quadro Nato, in una logica win-win tra l’Unione e l’Alleanza. In quest’ottica, una maggiore abilità di agire nella gestione delle crisi ed un rafforzamento della base industriale e tecnologica europea sono certamente da perseguire, ma al punto da mettere a rischio il rapporto transatlantico fondamentale per la sicurezza dell’Europa.

Si tratta di un equilibrio difficile da mantenere. Alcuni progetti Pesco sono pienamente in un’ottica di sinergia con la Nato, come l’iniziativa Twister per sviluppare sensori spaziali e intercettori endo-atmosferici europei da integrare nella difesa missilistica Nato. Altre iniziative sono sì funzionali alle forze armate europee, e quindi sia all’Alleanza che all’Unione, ma sono anche in competizione con l’industria della difesa americana, come nel caso del drone Euromale sviluppato da Francia, Germania, Italia e Spagna e che dovrebbe fornire un’alternativa ai velivoli a pilotaggio remoto statunitensi.

IL PENDOLO USA E IL SUO IMPATTO IN EUROPA

Anche da parte americana il punto di equilibrio è oscillato nell’ultimo decennio, un po’ come un pendolo. Dopo le critiche della prima amministrazione George W. Bush a un rafforzamento dell’Europa della difesa, Barack Obama ha fortemente sostenuto il processo che ha portato alla Strategia globale dell’Ue e alla Pesco, mentre la presidenza Trump ha osteggiato tutte le iniziative di difesa europea all’insegna di uno scetticismo complessivo nei confronti dell’Ue.

Joe Biden segna un’inversione di rotta al riguardo, favorendo un più forte pilastro europeo nel quadro di un’ampia alleanza occidentale che ha già abbastanza problemi a fronteggiare la Cina e la Russia per permettersi ulteriori divisioni interne.

L’attuale posizione di Washington ha avuto in pochi mesi un effetto diretto sulle iniziative europee nella difesa, che da un lato hanno trovato un clima transatlantico più favorevole, e dall’altro hanno perso un po’ dell’ambizione di autonomia che era alimentata anche dalle paure sull’affidabilità di un ombrello di sicurezza americano guidato da Trump.

WASHINGTON NEL PROGETTO DI MOBILITÀ MILITARE

È in tale quadro strategico che assume un certo valore simbolico la decisione di ieri. Il progetto Pesco di mobilità militare di per sé presenta ottimi motivi concreti a favore della partecipazione degli Stati Uniti. Si tratta infatti di adeguare le infrastrutture europee ed il quadro normativo per un più rapido fluire di unità ed equipaggiamenti militari nell’Ue, e l’ovvio scenario è quello di una crisi ai confini con la Russia che richieda tempestivi rinforzi da parte dell’Europa occidentale e degli Stati Uniti.

Non a caso il progetto, guidato da uno Stato atlantista come i Paesi Bassi, è tra i pochi esempi significativi di cooperazione Nato-Ue, visto il bisogno dell’Alleanza di poter meglio rafforzare il fronte baltico in caso di escalation di Mosca. E non a caso il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ha partecipato alla riunione dei ministri della Difesa Ue di ieri.

È quindi assolutamente sensato che gli Stati Uniti, principali fornitori di rinforzi, partecipino allo sforzo Pesco insieme ad alleati quali Canada e Norvegia, anch’essi ammessi in occasione del vertice di ieri. Sarebbe stata altrettanto logica una domanda di partecipazione da parte del Regno Unito, ma forse gli attriti tra Londra e l’Ue nella nuova situazione post-Brexit hanno pesato negativamente al riguardo.

VALORE SIMBOLICO

Al di là del valore concreto dell’iniziativa, non va sottovalutato quello simbolico. Gli Stati Uniti hanno chiesto formalmente di aderire come Stato terzo ad un’iniziativa militare dell’Ue, riconoscendo esplicitamente la bontà della difesa europea e impegnandosi a rispettare una serie di requisiti legali e politici. Nel fare ciò hanno legittimato la Pesco agli occhi dei Paesi europei più atlantisti, in primis Polonia e Stati Baltici, al tempo stesso riducendone il profilo di alternativa autonoma tanto spinto dalla Francia.

Non bisogna ovviamente sopravvalutare l’importanza del gesto. Molto può cambiare per la sicurezza dell’Europa nel giro di soli quattro anni con un nuovo presidente americano, come dimostrato dall’esperienza Trump e la conseguente uscita di Washington dal trattato Inf con la Russia e dall’accordo sul nucleare iraniano – e le voci critiche e sospettose verso un blocco Ue a guida franco-tedesca certo non scompaiono dal panorama statunitense.

Tuttavia, la situazione al momento sembra volgere verso un dialogo intra-occidentale più pragmatico e maturo, in cui integrazione europea e coesione transatlantica devono andare avanti insieme per affrontare concretamente, e con una maggiore assunzione di responsabilità dell’Europa, le sfide comuni che vengono da est e da sud del Vecchio Continente.

 

Articolo pubblicato su affarinternazionali.it

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