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Berlusconi

Dietro le parole contro i ristoratori c’è una filosofia inquietante

"Fare business più creativi", suggerisce il viceministro Castelli. Quindi, ben venga un nuovo modello di vita dove non si va più per ristoranti? Che in realtà gli italiani e non solo adorano? Il corsivo di Paola Sacchi

È stato scritto in tutte le salse quel “cambino lavoro” ai ristoratori, in crisi e senza aiuti veri dal governo. Che suona naturalmente subito come il celeberrimo “che mangino brioches”, se non hanno pane. Ma, a risentire il video dove il viceministro pentastellato all’Economia Laura Castelli pronuncia quelle parole c’è da restare davvero agghiacciati. Non solo per la clamorosa, totale mancanza di comprensione e rispetto che emerge dalle sue parole per la gravissima crisi del settore, eccellenza italiana, ma anche e soprattutto per la nonchalance con la quale Castelli liquida uno stile di vita. Non solo per la totale nonchalance con la quale il viceministro liquida anche gli avventori che secondo lei avrebbero “deciso” di non andare più al ristorante perché la vita dopo il Covid non sarebbe più quella di prima.

Deciso cosa? Deciso chi? Non è stato deciso un bel niente, il punto è che le persone non hanno più soldi per andare al ristorante. Ma, detta questa ovvietà che è lapalissiana per chi frequenta e vive nella realtà, la cosa davvero “inquietante”, come la ha definita il filosofo Corrado Ocone, è la filosofia che sottende quelle parole. “Fare business più creativi”, suggerisce il viceministro. Quindi, ben venga un nuovo modello di vita dove non si va più per ristoranti? Che in realtà gli italiani e non solo adorano? Andare per ristoranti non è solo un modo per gustare il cibo, che è sempre cultura, tradizione, prodotto della terra, ma è simbolo di convivialità, conoscenza di arte e cultura. Mio padre mi ci portava fin da bambina. Non solo per mangiar bene, seppur lui sapesse cucinare a casa benissimo, ma anche per conoscere ed esplorare ogni volta qualcosa di nuovo di qualche borgo medievale, qualche località marina o lacustre o di campagna, dove si faceva la pasta a mano.

Al ristorante si incontravano e si incontrano gli amici e se ne fanno di nuovi. Mi fece conoscere mondi nuovi in giro per l’Italia. Al di fuori dal chiuso delle mura domestiche. Andavamo con parenti e amici al ristorante persino a Natale, quando non era ancora di moda ed era vissuta come cosa molto anticonformista, se non un po’ sacrilega. Era un momento di sospensione, di vacanza dalla fatica e dalla routine di tutti i giorni.

Ricordo, tanto per fare solo un esempio, un bellissimo Ferragosto con lui al ristorante. Se non fossimo andati lì magari non avremmo mai conosciuto le “Vie Cave” nella Maremma toscana, al confine di quella laziale, il magico “set” dei “Paesi etruschi” di David H. Lawrence, che gustava la qualità del vino e del cibo con gli abitanti locali, vicino alla Necropoli di Vulci. Anche attraverso i ristoranti ho conosciuto l’Italia da Nord a Sud. Memore di mio padre — nipote di una ristoratrice di Anzio, poi sfollato per lo sbarco e sempre in giro per l’Italia per contribuire a fare l’A1 e la Napoli-Bari — che la domenica mattina diceva a me e mia madre: “Oggi si va lì… Ho già prenotato”, mi è sempre rimasta la stessa curiosità per cibo, arte, luoghi, tradizioni, persone.

Di quale Italia parla Castelli e che Italia vorrebbero i Cinque Stelle e i loro ormai agli occhi degli italiani succubi alleati del Pd? Inquietanti. Il termine è tipico da sempre della sinistra comunista e post-comunista per definire tutti gli avversari politici che gli capitano a tiro. Ma davvero inquietanti rischiano di apparire loro e il loro governo, sempre più sconnesso dal Paese reale, dalla sua storia, tradizione, cultura, stile di vita e civiltà.

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