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Quota 100

Vi spiego perché mi auguro che il ddl Zan non venga approvato

"Spero che il ddl Zan non venga approvato se non venissero stralciate norme che codificano la teoria gender, relegando a un mero atto anagrafico l’identità sessuale nonostante si tratti del solo connotato inconfutabile sia per quanto riguarda la conformazione fisica sia la procreazione"

 

Comincia oggi il dibattito al Senato sul ddl Zan. Il voto sul provvedimento (approvato con molta sine cura alla Camera) si è trasformato in una sfida di Enrico Letta su di una questione divenuta divisiva all’interno della maximaggioranza.

Mario Draghi si è reso conto della posta in gioco, tanto che intervenendo, marginalmente, al Senato sulla presa di posizione del Vaticano a proposito della violazione del Concordato, pur avendo profuso assicurazioni sulla laicità dello Stato e sui poteri del Parlamento, ci tenne a precisare che non voleva intervenire nel merito, non essendo materia di competenza del governo, ma delle Camere.

Chi scrive si augura che il ddl non venga approvato se non venissero stralciate alcune norme che codificano la teoria gender, relegando ad un mero atto anagrafico l’identità sessuale nonostante che si tratti del solo connotato inconfutabile riconosciuto tale dai tempi dell’Uomo di Neanderthal sia per quanto riguarda la conformazione fisica sia la procreazione. Peraltro non riesco a comprendere per quale motivo si debba tenere insieme, nella stessa norma, il diritto di esercitare la propria sessualità (un aspetto cruciale della stessa personalità), introducendo nell’ordinamento giuridico – come se fosse questo il riconoscimento di un ulteriore diritto civile – una teoria visionaria (nel senso di dar luogo ad una visione)  che non ha alcun valore scientifico.

I sostenitori del ddl Zan citano, a sproposito, la giurisprudenza della Consulta, come se i giudici delle leggi avessero avvalorato l’identità di genere così come è definita dall’art.1 del disegno di legge: d) per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corri­spondente al sesso, indipendentemente dal­l’aver concluso un percorso di transizione’’.

In effetti non mancano dei riferimenti ad alcune sentenze, ma vengono omessi particolari determinanti a definirne gli ambiti e i contenuti. Andiamo brevemente alle origini del problema. L’Italia si è data una legislazione di avanguardia (la terza in Europa) per quanto concerne la possibilità di modificare il sesso anatomico e anagrafico (legge n.164/1982), allo scopo di regolarizzare la posizione di coloro che si erano sottoposti all’intervento di riassegnazione chirurgica dei caratteri sessuali all’estero, ma che per l’assenza di una legge non potevano essere riconosciuti nella nuova identità.

Ovviamente, a distanza di trent’anni dall’approvazione della legge, si sono poste nuove istanze  in particolare circa l’obbligatorietà dell’intervento chirurgico per modificare il proprio nome (e il proprio sesso anagrafico) e  circa il tipo d’intervento chirurgico richiesto per concludere il percorso (deve riguardare i caratteri sessuali primari, con un impatto certamente più invasivo sulla salute della persona, o è sufficiente una modifica dei caratteri secondari, possibile anche con il solo trattamento ormonale?).

L’interpretazione della legge 164 e le prassi in uso nelle strutture socio-sanitarie, di fatto, hanno considerato per lungo tempo come obbligatorio l’intervento chirurgico, anche qualora la persona interessata non lo desiderasse. Interrogata sul punto, la giurisprudenza di merito aveva richiesto – in larga maggioranza, e con poche eccezioni – l’effettuazione dell’intervento chirurgico sui caratteri sessuali primari, quale requisito indispensabile per concludere il percorso di cambiamento di sesso. Su questa disposizione sono state sollevate questioni di costituzionalità, perché è effettivamente discutibile che una persona debba sottoporsi a trattamenti sanitari complessi e rischiosi per la propria salute al solo scopo di certificare la propria attitudine sessuale anche sul piano giuridico.

Qualcuno potrebbe domandarsi se sia proprio necessario cambiare il nome scritto all’anagrafe per avere rapporti con una persona del proprio sesso, ma a questo domanda gli interessati rispondono che possono insorgere problemi di contenuto giuridico che è bene affrontare (nelle coppie che contraggono unioni civili si sarà pure un marito e una moglie?).  Nella Sentenza n.180 del 2017 la Corte  ha confermato che <alla luce dei principi affermati nella sentenza n. 221 del 2015, va ribadito che l’interpretazione costituzionalmente adeguata della legge n. 164 del 1982 consente di escludere il requisito dell’intervento chirurgico di normoconformazione. E tuttavia ciò non esclude affatto, ma anzi avvalora, la necessità di un accertamento rigoroso non solo della serietà e univocità dell’intento, ma anche dell’intervenuta oggettiva transizione dell’identità di genere, emersa nel percorso seguito dalla persona interessata; percorso che corrobora e rafforza l’intento così manifestato.

Pertanto, in linea di continuità con i principi di cui alla richiamata sentenza, va escluso che il solo elemento volontaristico possa rivestire prioritario o esclusivo rilievo ai fini dell’accertamento della transizione. In coerenza con quanto affermato nella sentenza richiamata – prosegue il testo – va ancora una volta rilevato come l’aspirazione del singolo alla corrispondenza del sesso attribuitogli nei registri anagrafici, al momento della nascita, con quello soggettivamente percepito e vissuto costituisca senz’altro espressione del diritto al riconoscimento dell’identità di genere. Nel sistema della legge n. 164 del 1982, ciò si realizza attraverso un procedimento giudiziale che garantisce, al contempo, sia il diritto del singolo individuo, sia quelle esigenze di certezza delle relazioni giuridiche, sulle quali si fonda il rilievo dei registri anagrafici>. Mi pare evidente che il ddl Zan trascuri parecchie condizioni ritenute essenziali nella sentenza  n.180 del 2017 e in generale nella giurisprudenza della Corte.

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