“Dazi è la parola più bella della lingua inglese, più bella della parola amore” (Donald Trump). La realtà, d’altra parte, spesso dà un altro sapore alle parole. Vediamo perché, anche in riferimento a Canada e Messico.
I dazi sul Canada e il Messico, annunciati e poi sospesi per trenta giorni, possono essere intesi come leva negoziale, come sempre con Trump, ma possono anche indebolire la realizzazione di supply chain nordamericane, oltre agli effetti sull’inflazione. Due esempi concreti sui semiconduttori.
Come ricordo anche in Geopolitica dell’intelligenza artificiale, un’azienda che realizza acceleratori, Groq, ha rivendicato una supply chain nordamericana, con produzione negli USA e packaging in Canada, come posizionamento politico, non solo tecnologico.
Secondo esempio: una delle notizie più importanti degli ultimi mesi è la decisione della taiwanese Foxconn di produrre i server per NVIDIA a Guadalajara, in Messico, invece che in Cina, Taiwan o altre località asiatiche.
Questi due esempi, e molti altri, mostrano come una – sempre relativa – riorganizzazione delle supply chain è possibile utilizzando Canada e Messico. Per ragioni di forza lavoro e altre, difficilmente ciò è possibile solo con gli USA. Su questo c’è grande ipocrisia.
Le incertezze su queste filiere nascenti saranno aumentate dai dazi, anche quando sono usati in termini negoziali. Una filiera tecnologica solo statunitense non ha alcuna possibilità di vincere una competizione manifatturiera con l’Asia. Questa è la realtà.
D’altra parte, nella visione del mondo di Trump i dazi svolgono una funzione essenziale, pertanto gli altri Stati e le imprese devono sempre più prepararsi a considerare e valutare questi rischi.