Quando si parla di intelligenza artificiale, il pensiero comune va ai chatbot come ChatGPT, all’elaborazione di immagini e poco più. Si tratta, invece, di una tecnologia fondamentale anche dal punto di visto politico. Startmag ne ha parlato con Alessandro Aresu, consigliere scientifico di Limes e autore di Geopolitica dell’intelligenza artificiale, uscito per Feltrinelli il 22 ottobre.
Innanzitutto: di cosa parliamo, quando parliamo di intelligenza artificiale? E cosa c’entra la geopolitica?
Ciò che oggi mettiamo nel calderone “intelligenza artificiale” è un’estensione della digitalizzazione o computerizzazione del mondo, un processo realizzato e in corso di realizzazione da parte di alcune imprese che ne sono protagoniste. Queste imprese compongono una filiera molto complessa e interconnessa, tra clienti e fornitori, tra cooperazione e competizione. Tali imprese sono collocate in alcuni territori e sono, in misura più o meno ampia, sottoposte a vincoli di sicurezza nazionale da parte di alcuni attori politici: spinte politiche, in un senso o nell’altro, che alterano e condizionano il funzionamento dei mercati.
Questa, a mio avviso, è la struttura politica dell’intelligenza artificiale, nel contesto di ciò che le stesse aziende definiscono oggi come “geopolitica”, una parola di moda che per queste aziende significa: ci sono crescenti vincoli politici che influenzano gli assetti economici su scala globale.
Attraverso questa chiave di lettura, possiamo comprendere alcuni temi centrali, come i rapporti di forza tra il potere politico, il potere economico e la ricerca scientifica. E possiamo considerare la dimensione fisica della tecnologia, per cui l’intelligenza artificiale è (lo dico in sintesi, nel libro approfondisco molto a lungo questi concetti) un insieme di fabbriche.
In che senso?
Da una parte ci sono le fabbriche dove vengono prodotti, attraverso macchine e lavoro umano, i vari componenti dell’industria elettronica che ritroviamo all’interno dei data center, nonché le fabbriche dell’acciaio, del rame, dei sistemi di raffreddamento, di tutte le altre “cose” che ritroviamo all’interno. Dall’altra parte, ci sono i data center veri e propri, quelli che nel libro chiamo “mulini satanici”, riprendendo un tema di Polanyi.
La questione politica fondamentale dell’intelligenza artificiale è quindi la conoscenza di questa filiera, delle sue dinamiche, della sua distribuzione nel pianeta tra fornitori e clienti. Nei miei libri sul capitalismo politico, cioè Le potenze del capitalismo politico, Il dominio del XXI secolo e appunto Geopolitica dell’intelligenza artificiale, ho cercato di dare una chiave di lettura delle questioni politiche ed economiche del nostro tempo, e in particolare delle dimensioni commerciali, industriali e tecnologiche del conflitto tra Stati Uniti e Cina, attraverso l’analisi di alcune aziende protagoniste dell’innovazione globale.
Quali sono gli attori – aziende, personaggi, governi – più rilevanti in questa partita a livello internazionale?
Innanzitutto ci sono le aziende a cui alludevo prima: ASML, BYD, ByteDance, CATL, DeepMind, Huawei, NVIDIA, OpenAI, Palantir, SpaceX, Tesla, TSMC. Anche Foxconn è presente nei miei libri ma avrei dovuto lavorarci di più. Mi sembra che queste aziende, e che l’intreccio delle loro relazioni e delle loro storie, insieme ad alcune aziende su cui c’è molta più letteratura (Alibaba, Alphabet-Google, Amazon, Apple, BlackRock, Blackstone, Facebook-Meta, Microsoft, Samsung), sia essenziale per comprendere la fase del capitalismo in cui viviamo.
Tutto ciò è un prerequisito per avere un discorso pubblico e un ragionamento informato sui vari temi, altrimenti passiamo il tempo a essere abbindolati dalla notizia del giorno, tipo “Huawei ha superato NVIDIA con l’ultimo chip!”, “Sam Altman ha esposto la sua filosofia, ecco come pensa l’uomo che ha ‘creato’ l’intelligenza artificiale!”, “La Cina ormai è fallita!”, “Mistral diventerà il campione europeo in grado di impensierire Big Tech!”, “NVIDIA è uguale a Cisco!”, “Stanno costruendo centinaia di fabbriche nei Paesi del Golfo!”. Potrei continuare a lungo.
Né possiamo affrontare questa fase del capitalismo solo attraverso grandi comparazioni del passato e riferimenti al pensiero e alla filosofia di grandissime figure come Alan Turing, appunto perché c’è questa struttura economica, industriale e tecnologica che prima non c’era e alla quale gli estensori della proposta di Darmouth di metà anni ’50 non pensavano affatto; alla luce di tutto questo, la mia opinione è che i lavori che non considerano tutto ciò in modo adeguato, tra cui anche il grande libro Potere e Progresso dei Nobel per l’Economia 2024, non ci consentono di avere un’adeguata comprensione di questa struttura del capitalismo.
Per quanto riguarda i governi, il punto riguarda l’articolazione della sicurezza nazionale e dei suoi vincoli all’interno della competizione tra Stati Uniti e Cina, nonché la competenza dei governi davanti alla tecnologia, che è una questione problematica, come mostro per esempio in rapporto ai controlli sulle esportazioni.
E riguardo i personaggi?
Geopolitica dell’intelligenza artificiale è scritto apposta in una forma narrativa, per spiegare attraverso la storia di Jensen Huang come prende forma e si articola la filiera dell’intelligenza artificiale, e come la sua storia e quella di NVIDIA si incontrano sia col lavoro scientifico più recente (come quello di Fei-Fei Li, del premio Nobel 2024 per la fisica Geoffrey Hinton e dei suoi allievi) sia con le vicende di due aziende come DeepMind (co-fondata dal premio Nobel per la Chimica 2024 Demis Hassabis) e OpenAI, con le loro ambizioni, i loro problemi e le loro ipocrisie. Oltre che con quello che avviene in Cina, letto in particolare attraverso il “ritorno” di Huawei su questa scena.