Sei mesi dopo il rilancio delle guerre commerciali da parte del presidente Donald Trump, scrive Quartz in una nuova analisi, i dati emergenti delineano uno scenario inatteso: invece di rafforzare il potere economico americano, i dazi stanno accelerando un riequilibrio globale del commercio, in cui gli Usa diventano solo uno dei tanti mercati.
La Cina, lungi dall’essere schiacciata, sta diversificando le sue esportazioni verso Europa, Sud-Est Asiatico e paesi del Sud globale, riducendo la dipendenza dagli Stati Uniti.
L’adattamento cinese
I dati cinesi di settembre rivelano un boom delle esportazioni del 8,3%, il ritmo più veloce da mesi, nonostante un calo del 27% verso gli Stati Uniti.
Lungi dal crollare sotto i dazi, Pechino ha reindirizzato il suo commercio: le spedizioni verso l’Unione Europea sono aumentate del 14%, verso i paesi ASEAN del 16%, e verso l’Africa del 56% (anche se quest’ultima resta una frazione minima del totale).
Questa dinamica è lineare: gli Usa, ricorda Quartz, rappresentano ormai solo il 10% delle esportazioni cinesi, contro il quarto di due-tre anni fa. Il potere di Washington nelle guerre commerciali deriva dalla capacità di colpire la macchina esportatrice cinese tagliando l’accesso al vasto mercato americano. Ma se Pechino compensa una perdita del 27% con crescite a due cifre altrove, quel mercato perde indispensabilità.
La diversificazione attenua l’impatto delle tariffe, delle sanzioni e dei boicottaggi, offrendo alla Cina acquirenti alternativi e vie di accesso multiple. I dazi pungono ancora, ma non forzano concessioni come un tempo.
Riequilibrio strutturale
La diminuzione del ruolo americano come acquirente chiave segnala un fenomeno più ampio e duraturo: il riallineamento delle catene di fornitura globali, che isola sempre più gli Usa.
Come sottolinea Quartz, merci dirette un tempo a Los Angeles ora transitano via Vietnam, Malesia e Messico prima di raggiungere i consumatori finali, erodendo la portata di Washington e complicando l’applicazione delle tariffe.
Le supply chain si ricostruiscono dentro e fuori la Cina, con investimenti in fabbriche, logistica e relazioni difficili da smantellare. Pechino rafforza questo spostamento tramite spesa infrastrutturale e accordi commerciali che tessono una rete più integrata.
Emerge così un’architettura commerciale cinese non solo per eludere i dazi USA, ma per superarli e sopravvivere loro: il contorno diventa strategia. Al contempo, i nuovi controlli cinesi sulle esportazioni di terre rare e tecnologie ricordano il dominio di Pechino su input critici per la manifattura mondiale.
Parallelamente, le importazioni cinesi in rialzo del 7,4% a settembre indicano una ripresa della domanda interna, che smorza un’altra leva di pressione della Casa Bianca. Se l’economia domestica cinese si riprende autonomamente, si profila un’ulteriore erosione del potere Usa.
Incertezze residue
Tuttavia, conclude Quartz, è prematuro proclamare vittoria per la Cina o sconfitta per Washington. Le guerre commerciali non si risolvono con epiloghi netti. L’aumento dell’export cinese dimostra forza e adattabilità, ma l’economia interna resta fragile, e gran parte della diversificazione dipende indirettamente dai consumatori Usa, a uno o due passaggi di distanza.
Gli Stati Uniti mantengono il controllo su gran parte del sistema finanziario globale e sulle tecnologie più avanzate. In un’economia interconnessa, le vittorie sono effimere, le sconfitte reversibili.