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Da dove nasce il disagio sociale. Il pensiero di Ocone

Ocone's corner”, la rubrica settimanale di Corrado Ocone, filosofo e saggista. 

Metto in fila due eventi verificatisi negli ultimi due giorni, sideralmente lontani sia per ruolo e autorevolezza dei protagonisti sia per i luoghi in cui si sono svolti: il primo, l’altro ieri, nel solennissimo Salone dei Partecipanti della Banca d’Italia; il secondo, ieri, in molte piazze italiane.

Il primo, era uno degli eventi istituzionali e ufficiali più importanti d’Italia: l’appuntamento annuale con la lettura da parte del Governatore delle Considerazioni finali; l’altro, una serie di manifestazioni di protesta coordinate e al limite, e forse, oltre la legalità (a Milano i partecipanti hanno creato assembramento e si sono tolti le mascherine): quelle di un movimento che si è definito dei “gilet arancioni”, che ha come leader un eccentrico ex generale dei Carabinieri, già sottosegretario alle Finanze e protagonista in passato di varie e controverse vicende di storia patria: Antonio Pappalardo.

Avvenimenti diversissimi. Eppure, c’è un filo rosso sotteso che li lega, a mio avviso, e che fa sì che essi non vadano presi sotto gamba: nel primo caso, rubricando a retorica istituzionale certe severe parole di Ignazio Visco; nel secondo, fermandosi sugli aspetti pittoreschi e improbabili (“no ai vaccini”, ritorno alla “lira italica”) delle rivendicazioni “arancioni”.

Queste ultime infatti esprimono un disagio sociale, dovuto in parte alla “leggerezza” con cui le libertà individuali sono state, e continuano ad essere, sacrificate sull’altare di una sicurezza sanitaria non sempre ben argomentata, ma in parte e soprattutto, anche se non ancora a un livello del tutto esplicito, all’incipiente arretramento economico e sociale del Paese. Su cui, in maniera tanto più efficace perché sobria, ha richiamato l’attenzione il Governatore snocciolando una serie di cifre su ciò che ci aspetta da qui a fine anno da far tremare le vene ai polsi.

Inutile indorarci la pillola: saremo tutti notevolmente più poveri, ma soprattutto, e qui sta la forza del discorso del governatore, i poveri perderanno sia in termini reali sia in percentuale molto più dei benestanti. Non è un gioco a somma zero.

Anche la leggerezza con cui viene affrontato da questo governo il problema dell’istruzione non tiene conto di questo “fattore sociale”: non si possono decantare le virtù (fra l’altro molto discutibili) della “didattica a distanza” quando i più poveri non hanno spesso nemmeno una connessione a casa né hanno un ambiente familiare consono a surrogare l’attività di supporto compiuta a scuola dagli insegnanti.

Il pericolo serio è che certi atteggiamenti e comportamenti della classe politica e dirigente al potere, ad esempio la sfrontatezza con cui si è proceduto alla spartizione lottizzatoria delle nomine in piena crisi sanitaria, o le promesse di sussidi non arrivati, tollerati dopo tutto in tempi “normali”, ora possano creare una rabbia inconsulta e sfociare in violente manifestazioni di piazza contro l’autorità costituita tali da mettere in serio pericolo la coesione sociale e quindi la tenuta democratica dello Stato.

La speranza è l’ultima a morire, è il messaggio trasmesso senza retorica dal Governatore. Ma, noi possiamo aggiungere, per mancanza di fiducia e credibilità non è questa classe politica che se ne può far carico. Nonostante che nemmeno questa volta manchino gli italiani di buona volontà.

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