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Decreto Flussi

Cutro e Covid. La decisione politica tra discrezionalità e atto dovuto

Covid, Cutro e non solo: chi governa ha discrezionalità o esegue atti dovuti? Il corsivo di Battista Falconi

 

Le vicende e le polemiche su Covid e Cutro, come cento altre emerse nel corso del tempo, affondano nella stessa radicale questione: la decisione politica è sindacabile nel suo rapporto con le informazioni ricevute, chi governa ha discrezionalità o esegue atti dovuti? Quesiti che investono il concetto stesso di democrazia, fortemente critico e criticato anche per la subordinazione della volontà politica alla realtà dei fatti e per la verifica di quest’ultima tramite i poteri alternativi a quelli che si costituiscono per volontà popolare. Più semplicemente: parlamento e governo manifestano volontà che diventano norme e azioni operative e che producono conseguenze più o meno felici; la lamentela per gli effetti negativi di quanto legiferato e deciso viene spesso raccolta dalla magistratura come oggetto di indagine, assumendo quali prove e testimonianze dati oggettivi e valutazioni degli esperti.

La procura di Bergamo sta conducendo un’inchiesta sulla prima ondata di Covid per epidemia colposa: «l giudici mi hanno chiesto se era possibile in qualche modo quantificare quelle che potevano essere le conseguenze di determinate scelte», ha dichiarato il microbiologo Andrea Crisanti, già grande protagonista del dibattito sulla pandemia e consulente della procura di Bergamo. Gli amministratori e gli uomini dell’esecutivo coinvolti sono di appartenenze diverse. I sindaci bergamasco e milanese Giorgio Gori e Beppe Sala si erano per esempio distinti quali protagonisti e promotori di iniziative quali #Milanononsiferma e «Bergamo is running». Il 3 marzo 2020 alla Regione Lombardia si è svolta una riunione tra il ministro della Salute Roberto Speranza, il governatore Attilio Fontana, l’assessore Giulio Gallera, il direttore generale della Sanità Luigi Cajazzo e gli epidemiologi Vittorio De Micheli e Danilo Cereda. Si parla di Alzano e di Nembro, si discute, si cincischia, si bofonchia, ci si confronta mentre i morti salgono in modo esponenziale.

I comportamenti dell’epoca, rivisti oggi, appaiono insensati, sconsiderati, negazionisti. Viene da fare solo la medesima domanda che l’attuale primo ministro Giorgia Meloni rivolge ai giornalisti che la intervistano: «Ma davvero, in coscienza, c’è qualcuno che ritiene che il governo abbia volutamente fatto morire sessanta persone? Vi chiedo, guardandovi negli occhi, ma davvero qualcuno pensa che se si fossero potute salvare sessanta persone, fra cui un bambino di tre anni, non lo avremmo fatto?». Non si sta discutendo dell’opportunità di recarsi immediatamente sul luogo della tragedia, dove Meloni assicura che si terrà un Consiglio dei ministri, anziché concedere la prima conferenza stampa sotto un gazebo della spiaggia di Abu Dhabi, alle spalle l’imponente Emirates Palace. Né dei duri attacchi di Ong e opposizioni alle parole del ministro dell’Interno Piantedosi: «La disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli. Non devono partire». Queste divergenze fanno parte delle opportunità, delle sensibilità, delle valutazioni, delle considerazioni, che inevitabilmente differiscono in base alla posizione e all’impostazione politica e ideologica.

Qui si ipotizza di avere sottovalutato sciaguratamente, secondo qualcuno criminalmente, le informazioni disponibili per salvare delle vite. I numeri della provincia bergamasca sono di 5.100 morti in più a marzo, mille in più ad aprile. A Cutro il numero dei morti accertati è di almeno 70, tra cui 27 minori, mentre tra 30 e 50 sono i dispersi: tutti provenivano da Siria, Afghanistan e Pakistan. C’è un presunto buco di almeno sei ore tra le 23 di sabato – quando Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera a cui è demandato il controllo dei confini esterni di Ue e Spazio Schengen, ha segnalato la presenza del caicco in mare – e il momento del naufragio. Indagini quindi sacrosante, come quelle su Bergamo e Lombardia, ma davvero qualcuno ritiene che ministri e amministratori facciano volutamente morire delle persone?

Secondo la sondaggista Alessandra Ghisleri, gli italiani ritengono responsabili della tragedia crotonese: gli scafisti per il 26,2%, i governi dei Paesi da cui partono i migranti per il 20,5%, l’Europa per il 19,8%, i governi degli ultimi 20 anni per il 9,1%, tutti noi per l’8,2% e appena il 7,5% addebita al governo Meloni. I cittadini sarebbero insomma più indulgenti, forse più inconsapevoli del merito della vicenda se non, all’opposto, più consci dell’estrema complessità nella quale oggi si assume qualunque scelta politica. I nostri amministratori e governanti sono forse incapaci, inadeguati, pigri, ignoranti, presuntuosi, ma non assassini. Sono talvolta disonesti, ma questo è tutt’altro discorso.

È rischioso pensare di farne oggetto di critica oggettiva, anziché soggettiva, quando prendono le decisioni per le quali sono stati chiamati dai cittadini. Soprattutto quando ci sono i morti, ma non solo. E bisogna fare attenzione alla tenaglia che, partendo da premesse giacobine da un lato e montesquieane dall’altro, rischia di stritolare la gestione della cosa pubblica: gli scienziati dicono la verità e i magistrati la accertano. L’Europa a inizio 2023 si trova già in condizioni di siccità allarmanti e Antonello Pasini, fisico del clima del Cnr, è molto chiaro: «Senza interventi strutturali di lungo termine non sapremo più come fermare questa siccità». Se mancherà l’acqua, se avremo dei danni, dei disagi, sulla base di simili valutazioni sono già prevedibili altre inchieste volte a sindacare perché non si sia agito a livello istituzionale.

“La verità è un diritto. Ma celebrare processi sulla pubblica via è disdicevole. È facile fare le analisi e dare giudizi con il senno di poi. In questo Paese ogni volta dopo un fatto eclatante si apre un’inchiesta. E una china pericolosa», dice il presidente leghista del Veneto Luca Zaia, che in questa contingenza avrebbe modo di fare speculazione politica e di mettersi in bella mostra, visto che nei giorni finiti al centro dell’inchiesta di Bergamo prese decisioni al di là dell’atto d’ufficio doveroso ma minimale. Il pericolo, avverte, è che «finisce che chi ha delle responsabilità fa il suo compitino e pensa solo a proteggersi».

Non fare nulla che non sia previsto dalla normativa pregressa è la via di fuga della burocrazia, il rifugio dell’amministrazione pubblica, il terreno dal quale nascono l’inazione e la neofobia. La politica dovrebbe essere altro: decisione, scelta, volontà, progetto, fare il meglio o almeno il meno peggio. Tutte cose con margini di errore amplissimi. Lo abbiamo visto in cento occasioni di rilievo diverso, dalla scelta del sindaco capitolino dell’epoca Gianni Alemanno di acquistare il sale per il timore di gelate alla Commissione grandi rischi a margine del terremoto dell’Aquila, sottoposta a un lungo e travagliato iter giudiziario. Dileggio, richieste di dimissioni e potenziali condanne sono sempre dietro l’angolo.

Il circolo può facilmente divenire vizioso. Dati i margini di rischio e la vita pesante che chi fa certi mestieri deve mettere in conto, le persone più capaci potrebbero decidere di rinunciare alla politica, lasciando il posto ai mediocri più caparbi. Qualche segno in questo senso, tra dimissioni e suicidi, già si avverte.

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