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Tunisia

Missili sull’Ucraina, la propaganda russa e le false argomentazioni del Cremlino

Che cosa sta succedendo fra Russia e Ucraina. L'analisi di Gianfranco Polillo

 

Bisogna proprio avere una faccia di bronzo, per non dire di peggio, per reagire, come ha fatto Putin, all’azione militare contro il ponte di Crimea. Attacco condotto con un camion – bomba, fatto esplodere nel momento in cui passava un treno merci carico di carburante. Per cui l’effetto distruttivo è risultato devastante. Una voragine di centinaia di metri e diversi piloni danneggiati in modo irreparabile. È stato, secondo le parole del nuovo Zar, al termine del colloquio con Alexander Bastrykin, capo del comitato investigativo della Federazione Russa, “un attacco terroristico volto a distruggere le infrastrutture civili critiche della Federazione Russa”.

A voler prendere per buona questa valutazione, sembrerebbe quasi che le truppe ucraine, o i partigiani che operano nelle zone controllate dagli invasori russi, abbiano distrutto qualche scuola, demolito qualche ospedale, oppure, fatto saltare un condominio civile. Ed invece si tratta di una via di comunicazione, costruita dopo l’annessione del 2014 della Crimea alla santa madre Russia, inaugurata dallo stesso Putin un paio di anni fa, lungo la quale si muove non solo il traffico commerciale, ma passano i rifornimenti militari per le truppe di occupazione.

Che si sia trattata di un’operazione sotto copertura è possibile. In una guerra di liberazione nazionale, come quella che gli Ucraini stanno combattendo, non c’è solo lo scontro in campo aperto. Ma ch’essa possa essere considerato un “atto terroristico” ce ne corre. Terroristica semmai è stata la reazione. Il nuovo, ma sarebbe da dire l’ennesimo, raid missilistico contro Zaporizhzhia, che ha portato al crollo di un condominio, abitato da gente comune. Risultato: 13 morti, fra cui un bambino, ed una novantina di feriti. Tutti civili.

Quelle nuove vittime si sommano ai 5.718 morti e 8.421 feriti, (tra cui 186 ragazzi e 151 ragazze), censiti dall’Onu, alla data dello scorso 11 settembre. Da allora quella scia di sangue si è trasformata in un fiume. Senza contare le mille atrocità: le distruzioni sistematiche di scuole, ospedali, comuni abitazioni. Le torture inflitte a centinaia di semplici cittadini, finiti con un colpo alla nuca e poi gettati nelle fosse comuni. Il nuovo raid presenta l’aggravante costituito dalla circostanza che i missili sono caduti a meno di 50 kilometri della centrale nucleare di Zaporizhzhia, contravvenendo ancora una volta alle indicazioni dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, secondo la quale l’intera area, onde evitare il rischio di inimmaginabili disastri, doveva essere dichiarata free zone.

E stamattina pioggia di missili non solo su Kiev ma anche su Zaporizhzhia, Leopoli, Dnipro, Zhytomyr, Khmelnitsky e Ternopil.

Si dirà è la guerra. E come ogni guerra, essa è portatrice di atti barbarici. Ma ciò che sta venendo in Ucraina ricorda troppo da vicino le città martiri di Grozny, in Cecenia, o di Aleppo in Siria. Entrambe da accostare alla personalità di Putin, che passerà alla storia come uno dei leader più sanguinari di questo scorcio di secolo. Del resto quando si conduce una guerra, come se fossimo ancora nel ‘900, ma utilizzando i moderni mezzi di distruzione, i risultati non possono essere che quelli denunciati. Si pensi solo alle bombe a grappolo, alle mine antiuomo e via dicendo. Armi messe al bando dalla società internazionale, ma usate in modo massiccio per sfregiare, più che per uccidere, la resistenza di un popolo che lotta per la propria terra e la propria libertà.

Su un fronte completamente diverso, altre dichiarazioni inverosimili, come quelle di Dmitri Peskov, il portavoce del Cremlino, secondo il quale l’eventuale introduzione di un tetto al prezzo del petrolio “avrà un effetto distruttivo sui mercati, sconvolgendo quasi tutti i paesi”. Dichiarazione resa qualche giorno fa, ma solo ieri riportata dalla TASS. Con un ritardo che denota un certo imbarazzo. “L’effetto distruttivo” non solo dell’equilibrio di mercato, ma dell’intero quadro internazionale, si è già avuto. Grazie alle politiche di contenimento dell’offerta praticate dalla Russia, nelle forniture di gas. Il conseguente aumento del prezzo ha scatenato un’inflazione che non sarà facile domare.

Le banche centrali possono, infatti, alimentare politiche di contenimento, ma la sproporzione tra la caduta della domanda globale e l’effettivo risparmio di energia è tale da risultare quasi improponibile, considerati i rapporti input – output. Vale a dire che la domanda complessiva deve cadere di 10 o di 20, per produrre il risparmio di 1, in termini di minori consumi di gas o di elettricità. Ne deriva che il price cap sui prodotti energetici, contrariamente a quanto sostiene il Cremlino, serve proprio per incidere direttamente sui focolai di inflazione. E quindi, attraverso questa via, ridurre l’impatto delle politiche, decise a Mosca, sul restante quadro macroeconomico.

Come si vede, la propaganda russa non solo è falsa, come ogni propaganda, ma talmente grossolana da risultare controproducente. Questo dimostra, forse, incapacità? Probabilmente si, ma soprattutto disinteresse per quello che l’Occidente possa pensare. Il messaggio di Peskov è rivolto soprattutto al fronte interno. L’eventuale price cap è destinato a ridurre le entrate per l’erario russo, che già soffre: a causa dell’aumento dei costi dovuti alla guerra. L’avvertimento è quindi evidente: preparatevi al peggio. All’ulteriore stretta che potrebbe verificarsi dopo il successo delle sanzioni, che, solo in Italia ed in qualche sperduta zona dell’Europa, qualcuno si ostina ancora a negare.

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