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Covid-19, che cosa la Russia ha mandato agli Stati Uniti

Fatti, dettagli e interpretazioni sull’invio di attrezzature mediche e materiale protettivo anti Covid-19 spedito dalla Russia agli Stati Uniti Rimarrà per sempre un mistero se Donald Trump abbia effettivamente chiesto a Vladimir Putin aiuto per la lotta al Covid-19 negli Usa. Sta di fatto che gli aiuti in questione sono atterrati ieri pomeriggio all’aeroporto JFK…

Rimarrà per sempre un mistero se Donald Trump abbia effettivamente chiesto a Vladimir Putin aiuto per la lotta al Covid-19 negli Usa.

Sta di fatto che gli aiuti in questione sono atterrati ieri pomeriggio all’aeroporto JFK di New York a bordo di un Antonov-124 partito la sera precedente da Mosca. E che la Russia – ma non gli Usa – sostiene che tutti sarebbe stato negoziato al vertice durante la telefonata scambiata lunedì dai due n. 1 (con il petrolio in cima all’agenda).

Peccato che, nella trascrizione di quella conversazione, non vi sia alcun riferimento ad aiuti sul Covid-19 che erano stati però evocati dallo stesso Trump durante la conferenza stampa della task force anti-Coronavirus tenuta lo stesso giorno alla Casa Bianca.

“La Cina ci ha mandato alcune cose” – aveva detto in diretta il tycoon – “ed è stato fantastico. E La Russia ci ha mandato un aereo pieno, ma proprio pieno pieno, di cose, attrezzature mediche, un gesto davvero carino”.

In quel momento in verità l’aereo in questione era ancora in qualche hangar russo. Ma già gli organi di propaganda di Mosca, capitanati da Russia Today, stavano facendo circolare la versione del portavoce del Cremlino Dmitry Peskov secondo cui Putin, durante la famosa telefonata, “aveva chiesto se gli Usa avessero bisogno di aiuto e Trump ha accettato”.

E poiché RT è sempre un passo più avanti, eccola rendere noto anche che era stato l’ambasciatore russo negli Usa, Anatoly Antonov, a “segnalare” per primo che il suo paese era “pronto ad aiutare” l’America.

Sta di fatto che, come sempre accade quando le trombe della propaganda si mettono in moto, ecco che l’Ambasciata retta da Antonov martedì utilizzava i suoi canali social per annunciare che la Russia “avrebbe potuto mandare negli Usa” già in giornata “un aereo carico di attrezzature mediche e materiale protettivo”.

https://twitter.com/RusEmbUSA/status/1245081541354627076?s=20

 

In un lungo post Facebook l’ambasciata riportava inoltre le dichiarazioni rilasciate da Peskov alla TASS che, oltre a confermare la notizia dell’imminente partenza del cargo, ribadiva la versione originaria dello scambio telefonico tra il suo capo e quello della Casa Bianca in materia di aiuti.

“Essendo al corrente della seria situazione epidemiologica in America”, è il commento di Peskov riportato dal profilo FB dell’ambasciata, “la parte russa ha offerto (la propria) assistenza”.

Ecco dunque che ne mare magno del web ieri si sono affacciati vari cinguettii che hanno documentato il viaggio dell’Antonov da una pista non lontano da Mosca, ai cieli dell’Atlantico fino al tarmac del JFK di New York, dove ha terminato la sua corsa nel tardo pomeriggio attirando ovviamente l’attenzione della stampa Usa.

https://twitter.com/mfa_russia/status/1245237645762052101?s=20

https://twitter.com/RussiaUN/status/1245451922385108994?s=20

Stampa che a quel punto, avida di chiarimenti, ha dovuto fare i conti con la dichiarazione di un “U.S official in Washington” che confermava la versione russa di un’intesa raggiunta lunedì al vertice e al telefono.

Chiariva inoltre, il funzionario, che il cargo aveva portato su suolo americano 60 tonnellate di respiratori, mascherine, ventilatori polmonari e altro materiale che sarebbe ora passato al vaglio della U.S. Food and Drug Administration per valutarne la compatibilità con le normative nazionali.

A motori dell’Antonov ormai spenti arrivava quindi un’altra laconica dichiarazione di Peskov affidata all’agenzia Interfax per chiudere una volta per tutte la questione su questi “aiuti umanitari (che) Trump ha graziosamente accettato”.

Peccato che poco più tardi è intervenuto a gamba tesa il Dipartimento di Stato per spiegare, attraverso il portavoce Morgan Ortagus, che gli Usa in realtà “si sono accordati” con la Russia “per acquistare” quel materiale.

A questo punto le parole di Ortagus alterano di non poco anche il senso delle affermazioni fatte dallo stesso Peskov quando ha sottolineato che Putin,“nell’offrire assistenza ai colleghi Usa, assume che (essi potranno fare altrettanto) nel momento in cui i produttori Usa di materiale medico lavoreranno a pieno regime”.

La storia dell’Antonov e della richiesta di aiuto Usa alla Russia resta dunque una storia amena che fa apparire fuori luogo alcuni furiosi commenti scaturiti ieri.

Si segnala in particolare quello dell’ex diplomatico scaricato da The Donald Brett McGurck che ai lettori di un dispaccio Reuters  ha tentato di spiegare come l’episodio metta chiaramente a nudo “il ruolo sempre minore degli Usa in una crisi globale”.

Da non trascurare è invece il rilievo fatto sul Washington Post da Andrew Foxall, direttore delle ricerche alla Henry Jackson Society di Londra, per il quale il “propaganda coup” di Putin va letto come il (nuovo) tentativo della Russia di mostrare al mondo la propria superiorità tanto sui rivali a stelle e strisce quanto su quel modello democratico i cui limiti starebbero venendo a galla in questa pandemia.

Se questo è ciò che Vladimir Vladimirovic aveva in mente, si spera che non sia finito sotto i suoi occhi il tweet dell’ex comandante dell’esercito Usa in Europa, Ben Hodges, che rilanciando la foto del carico dell’Antonov diffusa dallo stesso Ministero degli Esteri russo ha notato un particolare non del tutto coerente con l’immagine della Russia quale superpotenza benevola e soprattutto affidabile e competente.

Del resto, concludeva perfido Hodges, quello è un regalo nostro a Putin, non il contrario.

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