Matteo Salvini rilancia la candidatura di Mario Draghi al Quirinale, ovviamente con la formula secondo la quale l’appoggerebbe “convintamente” se l’interessato intendesse proporla. Il leader leghista lo fa proprio nel giorno in cui Sergio Mattarella per la terza volta smentisce la possibilità di un suo bis al Quirinale. La prima, più scontata lettura del rilancio da parte di Salvini sul nome del premier rimanda al desiderio attribuitogli di andare alle urne anticipatamente – rispetto alla scadenza della legislatura nel 2023 – nel 2022, dopo le elezioni quirinalizie. E questo magari potrebbe essergli utile a impedire che nel frattempo la leader di FdI, Giorgia Meloni, riesca a portare il suo partito, nei sondaggi, sopra la Lega. Sarebbe un sorpasso sondaggistico, virtuale, che però avrebbe un certo effetto sul piano mediatico, dal momento che Meloni ha lanciato il guanto di sfida alla premiership se il centrodestra dovesse vincere le elezioni e Fratelli d’Italia dovesse diventare primo partito della coalizione.
Ma c’è un’altra sfida, con un preciso significato politico, che Salvini con la riproposizione di Draghi al Colle lancia anche dentro il centrodestra e alla stessa Meloni: al di là di come andranno le cose, la sfida di intestarsi subito la battaglia “perché al Colle ci sia per la prima volta dopo tanti anni un Capo dello Stato non proveniente dall’alveo di centrosinistra”, fanno osservare dentro la Lega. Anche se ieri Salvini ha tenuto a sottolineare che “il Quirinale non dovrebbe avere un candidato di parte”. Infatti, Draghi non viene neppure dall’alveo del centrodestra, è figura superpartes. Anche se fu Silvio Berlusconi a indicarlo alla Bce. E, comunque sia, Salvini annunciò tempo fa in tv: “Mi batterò con tutte le mie forze perché al Colle non vada un uomo di sinistra”, cercando così subito di intestarsi una battaglia di discontinuità. Cosa che ha fatto subito drizzare le antenne al Pd di Enrico Letta, al quale cronache e retroscena, sui suoi continui out-out alla Lega (o dentro o fuori il governo), attribuiscono la volontà di creare una maggioranza “Ursula” all’italiana (Pd, Cinque Stelle, FI) proprio in vista delle elezioni quirinalizie. Per un Romano Prodi o “simil Prodi”?
Ipotesi comunque già smentita seccamente per quanto riguarda i propositi azzurri dal coordinatore nazionale di Forza Italia, Antonio Tajani. Ma, al di là delle oggettive difficoltà, sempre che l’interessato lo voglia, che potrebbe incontrare una eventuale candidatura Draghi in un parlamento che certo non farebbe salti di gioia di fronte al rischio oggettivo di elezioni anticipate, il tema resta. E una figura come Draghi sarebbe una garanzia euro-atlantica per un centrodestra al quale, se dovesse vincere le elezioni, come indicano tutti i sondaggi, il centrosinistra passato all’opposizione non farebbe sconti con i suoi continui esami sul tasso di europeismo.
Tema sul quale ieri Letta è ripartito all’attacco. Ma Salvini ha di nuovo replicato che la Lega dal governo non intende affatto muoversi, piuttosto “se Letta si trova a disagio in questa maggioranza lasci lui “, è stata la replica di Salvini. Che, al di là della telenovela degli screzi di giornata con il leader del Nazareno, non ci sta ad essere intrappolato nella parte, che si tenta di costruirgli ad arte, del “solito del Papeete “, che alla fine stacca la spina.
Probabilmente anche per questo Salvini ha tenuto a smentire che la raccolta di firme con i Radicali sia un atto contro il ministro della Giustizia Marta Cartabia, di cui ha apprezzato le linee di riforma. Seppur aggiungendo che se la ex maggioranza giallo-rossa la contrasterà i referendum saranno l’altra possibilità. Insomma, referendum come uno stimolo.
Ma tornando alla partitissima del Colle, al di là dei propositi di Salvini per una discontinuità rispetto a Presidenti provenienti dall’alveo di centrosinistra, il problema di una scelta che tenga conto del volto mutato del Paese, dove la maggioranza delle Regioni sono guidate dal centrodestra, resta. “Ci vorrebbe una figura comunque non nemica della destra o del centrodestra, se non sarà Draghi, chi meglio di uno come Pier Ferdinando Casini? È stato eletto ultimamente nel centrosinistra, quando però Matteo Renzi era ancora leader del Pd, ma lui, un ex dc di destra non può certo essere catalogato nell’alveo della sinistra.. “, riflette un ex parlamentare di lungo corso di centrodestra.
La partitissima è appena cominciata. Fare nomi troppo presto si rischia di bruciarli, come è accaduto tante altre volte. Ma stavolta la situazione è talmente inedita, sotto tutti i punti di vista, che è difficile immaginare che vada tutto come da copione, almeno nelle modalità.
Salvini, intanto, tiene a sottolineare che lui comunque “per rispetto del presidente Draghi” non intende mettere alcuna scadenza al governo “che è di ricostruzione nazionale”.