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Milei

Cosa succede in Argentina con Milei

Cosa scrivono i giornali sui consensi di Milei in Argentina. L'articolo di Livio Zanotti, autore de Ildiavolononmuoremai.

Non era mai accaduto che a soli due mesi dall’insediamento di un governo venissero considerate pubblicamente ipotesi alternative: non immediate, certo, ma già a medio termine. Attraverso fasi diverse di un presunto esaurimento inerziale della sua iniziativa politica e del sostegno ricevuto nelle votazioni dello scorso 19 novembre. Con una diversa ricomposizione della destra, guidata da una nuova leadership (non necessariamente inedita: viene frequentemente intravista una fantasmatica presenza fuori scena dell’ex presidente Mauricio Macri). In questi termini, una simile incertezza non si sentiva neppure nei decenni più oscuri, precedenti alla restaurazione democratica del 1983 con la presidenza di Raul Alfonsin; quando i colpi di stato militari – pur sanguinosi – venivano usati cinicamente come espedienti di una politica resa impotente dalle fratture socio-culturali del paese e così come adesso crisi economica, inflazione e povertà procedevano al galoppo.

Oggi, però, prima ancora che nel loro lessico quotidiano, l’idea di un golpe è assente nell’immaginario degli argentini. Mai citata. Esclusa nei circoli militari, con i comandi superiori delle Forze Armate che si mantengono ostentatamente estranei a qualsiasi coinvolgimento politico. Sebbene Milei abbia una vicepresidente, Victoria Villaruel (48,) figlia e nipote di alti ufficiali compromessi con la repressione e la dittatura militare degli anni Settanta del secolo scorso. E lei stessa, avvocata, presieda un “Centro Studi Legali sul Terrorismo e le sue Vittime”, che rovescia il punto di vista prevalente. In quanto vede come vittime non le decine di migliaia di desaparecidos, torturati, scaraventati in mare aperto dagli aerei, derubati dalle razzie di bande attive nell’esercito e nella ESMA; bensì i militari, vittime non tanto dell’allora guerriglia armata, condannati invece in successivi e ineccepibili processi dai tribunali della Repubblica democratica e in taluni casi ancora in attesa di giudizio o in carcere scontando le rispettive pene.

IL PIANO DI MILEI PER L’ARGENTINA

Gli argentini non hanno dimenticato. Né c’è la benché minima impressione di qualche muto esorcismo o di un silenzio tattico, omertoso. Proprio perché ricordano, la loro grande maggioranza rifiuta più che mai soluzioni di aperta violenza e sopraffazione. Il contesto internazionale, pur fluido come accade nelle transizioni da un’epoca all’altra, contraddittorie e prolungate, non è tale da favorire quel genere di ritorni al passato, semmai il contrario. Il progetto del governo di estrema destra attacca frontalmente la concezione moderna dello stato, non solo quello sociale. Rivendica il suo smantellamento in toni talmente accesi da apparire in alcuni casi grotteschi. Ha aspetti ideologici che suscitano perplessità negli stessi corpi armati e in quelli amministrativi; nella media e piccola impresa. Anche se le preoccupazioni, i timori maggiori ed espliciti per la sovversione del sistema democratico vengono dai settori più immediatamente colpiti, riassumibili nei lavoratori subordinati, nei pensionati e nel vastissimo precariato.

DUBBI E OBIEZIONI

La grande informazione che ha sostenuto e sostiene Javier Milei manifesta vari dubbi e obiezioni. Scrive che il consenso da lui raccolto alle elezioni è vacillante, i suoi parlamentari sono fedeli ma inesperti. Hanno ottenuto per lui solo 6 delle 11 deleghe personali richieste e la metà delle privatizzazioni pretese per le imprese di stato. Si domanda se davvero la parziale approvazione del maxi-decreto alla Camera dei deputati è quella vittoria che sta celebrando. Poiché nella trattativa con le opposizioni ha dovuto cancellare o ritirare oltre 300 dei circa 600 articoli, compresi quelli sulla riforma del lavoro dipendente e l’intero, fondamentale pacchetto fiscale. Parte di quelli approvati, denunciati come incostituzionali da sindacati, associazioni e singoli cittadini, sono interdetti o ancora al vaglio della giustizia. La Camera deve in ogni caso tornare a votarli tutti uno per uno. Quindi con la medesima procedura passare al vaglio del Senato. Viene ricordato un detto di Juan Domingo Peron:” Non è che noi siamo buoni, se non che gli altri sono peggiori…”.

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