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Cosa si dice e si borbotta in Germania sulle nuove sanzioni Ue anti Russia

La Germania rompe i ponti diplomatici con Putin e il suo più stretto alleato, ma non ancora quelli del gas. L'articolo di Pierluigi Mennitti da Berlino

 

Quaranta diplomatici russi invitati a fare le valige entro cinque giorni, interruzione dell’interscambio parlamentare fra il Bundestag e le corrispondenti assemblee di Russia e Bielorussia. La Germania rompe i ponti diplomatici con Putin e il suo più stretto alleato, ma non ancora quelli del gas. Non può e non vuole permetterselo. In compenso Berlino potrebbe acconsentire a un primo passo sul fronte dell’embargo energetico, quello sul carbone. Qui è possibile correggere più facilmente gli squilibri sul piano della dipendenza da Mosca maturati nell’ultimo decennio.

La posizione del governo di Olaf Scholz è in movimento. Lunedì 4 aprile, dopo un intervento mattutino del sottosegretario verde all’Economia Oliver Kirscher che aveva ribadito il no tedesco all’embargo, era intervenuta in serata il ministro degli Esteri Annalena Baerbock, ecologista anche lei. Un discorso da leggere fra le righe, nel quale ministro aveva detto che la Germania non era contraria a un embargo energetico contro la Russia, ma che per uscire dalla dipendenza di gas ci voleva tempo e che dunque, per il momento, la posizione tedesca restava contraria allo stop, almeno su questa fonte. Ecco le sue parole: “La scorsa settimana il ministro dell’Economia e Robert Habeck ha chiarito che non solo ci stiamo preparando per l’eliminazione completa dei combustibili fossili in Russia, ma lo stiamo avviando in maniera massiccia”.

Il primo passo è quello di non fare più muro sul blocco delle importazioni di carbone. È così probabile che la proposta avanzata dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen non trovi ostacoli a Berlino. E d’altronde è impensabile che von der Leyen, che è tedesca, si sia mossa senza prima tastare gli umori del governo di Scholz. Sul piano interno, pressioni in questo senso sono arrivate dal principale partito di opposizione, la Cdu. “A nostro avviso è giusto bloccare immediatamente le importazioni di carbone”, ha detto il presidente del partito Friedrich Merz.

Le immagini del massacro di Butcha accrescono la pressione sul governo tedesco, sia sul fronte esterno – da parte dei paesi alleati – che su quello interno: non tanto da cittadini e imprenditori, ancora preoccupati più dalle ricadute economiche dell’austerity energetica, quanto dalla stampa. Da giorni lo Spiegel batte su un unico tasto: per quanto ancora la Germania potrà di fatto finanziare la guerra di Putin continuando ad acquistare il suo gas? Ogni atrocità scoperta sul terreno di guerra infiamma questa domanda e accentua il senso di colpa tedesco per aver consegnato una buona fetta della propria sicurezza energetica a Vladimir Putin.

Il passo successivo potrebbe essere l’estensione dell’embargo al petrolio. Anche su questo versante Berlino appare più flessibile e in grado di sopperire più facilmente a un taglio delle forniture di Mosca, trovando su un mercato che è più ampio le alternative necessarie. La Frankfurter Allgemeine Zeitung lo conferma: “Non dovrebbe sorprendere se, a seguito di un embargo sul carbone in Europa, un analogo provvedimento sul petrolio russo sarà presto oggetto di un’intensa discussione”.

Naturalmente, anche queste sanzioni avranno un impatto diretto sull’economia tedesca, prosegue il quotidiano di Francoforte, “ma non va dimenticato che l’economia tedesca soffrirà ancora di più nel lungo periodo se Putin non verrà fermato rapidamente. Ad esempio, l’industria automobilistica sta vivendo un forte calo della produzione perché gli eventi bellici hanno influenzato l’importazione di cavi dall’Ucraina”.

Se si pensa che ancora pochi mesi fa Olaf Scholz difendeva il progetto Nord Stream 2 con parole merkeliane, esaltandone la valenza economica e ignorandone quella geopolitica, non è poca l’acqua che è passata sotto i ponti di Berlino. Lo sforzo di slacciarsi dai robusti legami energetici con la Russia è iniziato e quanto le cose siano complesse lo dimostra la mossa cui è stato costretto il ministro Habeck di trasferire all’autorità di regolamentazione tedesca (la Bundesnetzagentur) le strutture di Gazprom Germania, la società di commercio, stoccaggio e trasmissione di energia che era stata abbandonata venerdì scorso da Gazprom Russia. “Un passaggio obbligatorio”, lo ha definito il ministro, “l’ordine dell’amministrazione fiduciaria serve a proteggere la sicurezza e l’ordine pubblico e a mantenere la certezza dell’approvvigionamento”.

Ma non c’è alternativa, scrive ancora la Faz, perché non può esserci ritorno alla vecchia forma di cooperazione con la Russia di Putin: “Più velocemente questo viene accettato, più dinamicamente l’economia tedesca può avviare una nuova fase”. Concetto recepito dal mondo politico tedesco, impegnato in una precipitosa conversione a U dalla sua Ostpolitik. L’ultimo in ordine di tempo è stato il presidente della Repubblica Frank-Walter Steinmeier che dopo aver ammesso di essersi sbagliato nel sostenere il Nord Stream 2 ha detto di non potersi immaginare “un ritorno allo status quo prima della guerra” nei rapporti commerciali con la Russia di Putin.

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