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Cosa fa Facebook in Africa

Come Facebook si è mossa in Africa contro la disinformazione. L'approfondimento di Giuseppe Gagliano

 

Facebook ha annunciato la rimozione di tre reti separate che hanno preso di mira le comunità in tutta l’Africa.

La prima rete era composta da 126 pagine, 16 gruppi, 211 profili e 17 account Instagram affiliati a persone con collegamenti alle passate attività dell’Internet Research Agency (IRA), un’entità collegata all’imprenditore russo Yevgeny Prigozhin. Secondo Facebook, la rete ha coinvolto operatori in Russia, Libia, Egitto, Sudan e Siria e ha preso di mira individui in Libia, Sudan e Siria.

L’operazione aveva anche una presenza su Twitter di circa 30 account che partecipavano attivamente all’operazione di disinformazione. Questi account avevano diverse migliaia di follower — almeno uno aveva quasi 12.000 follower — ma la presenza su Twitter era molto più piccola di quella su Facebook.

Anche la seconda rete è collegata a Prigozhin, ma è stata un’operazione distinta che ha preso di mira principalmente la Repubblica Centrafricana. La terza è legato all’esercito francese e ha avuto come obiettivo la Repubblica Centrafricana e il Mali.

Ciascuna campagna di disinformazione ha cercato di smascherare l’altra in una vera e propria guerra dell’informazione.

Tuttavia questa non è la prima volta che Facebook sospende le reti con sede in Africa collegate a Prigozhin. Lo scorso marzo infatti si è scoperto non solo che stava sfruttando i locali con sede in Ghana per prendere di mira gli Stati Uniti ma è acclarato il fatto che Prigozhin abbia legami con il Gruppo Wagner, un’organizzazione mercenaria militare privata coinvolta in operazioni di sicurezza e di combattimento in aree strategiche interesse per la Russia quali la Repubblica Centrafricana, il Madagascar, la Libia e numerosi altri paesi in Africa.

Le operazioni di disinformazione di Prigozhin hanno assunto la forma di operazioni di propaganda grigia, come il finanziamento di molte stazioni di notizie locali che successivamente hanno iniziato a trasmettere contenuti filo-russi e operazioni completamente segrete che coinvolgono account di social media falsi. Nell’ottobre 2019, Facebook aveva indagato su una rete collegata a Prigozhin che operava in Libia, Sudan, Repubblica Centrafricana, Madagascar, Mozambico e Repubblica Democratica del Congo. Alcune delle tattiche osservate in quell’operazione sono state replicate proprio in queste recenti operazioni.

Per quanto riguarda la disinformazione russa che ha preso di mira Libia, Sudan e Siria questa è stata certamente un’operazione di grandi dimensioni: in totale, le pagine avevano 5,7 milioni di follower. Secondo Facebook, circa 1,6 milioni di persone hanno seguito le pagine partecipando attivamente all’operazione di disinformazione. Questa operazione ha comportato la partecipazione di siriani, e forse di individui libici e sudanesi, che vivevano in Russia.

Per quanto concerne le operazioni di disinformazione incentrate sulla Libia queste sono state mobilitate a sostegno dell’Esercito nazionale libico orientale (LNA). Questa operazione in Libia è stata più ambiziosa e sofisticata dell’operazione Prigozhin-Libia che Facebook ha sospeso nel 2019.

L’operazione attuale posta in essere dalla Russia in Libia sembra aver concesso in franchising alcune attività all’LNA e al suo staff dei media del Dipartimento di orientamento morale.

Non solo: ma diverse risorse sospese erano collegate al marchio multimediale Stop Terror, che gestiva un podcast quotidiano. Almeno una persona legata a questo marchio mediatico ha ricevuto formazione da ONG internazionali sui media.

La rete ha spinto per il rilascio del sociologo russo Maksim Shugalei e del suo traduttore Samir Seifan da una prigione libica. Esisteva persino una pagina per promuovere un film che descriveva le loro esperienze, dal punto di vista della Russia naturalmente.

L’attività di Twitter era narrativamente identica all’operazione Facebook fatta in Libia. Tatticamente, i resoconti hanno anche rivelato collegamenti ad agenti dei media dell’LNA e professionisti dei media libici. In particolare, i tweet di diversi account sono stati incorporati in articoli su domini come arabitoday.com.

Sia la parte pro-Gheddafi che quella pro-LNA della rete hanno tentato in modo aggressivo di interrompere il Libyan Political Dialogue Forum (LPDF) nel novembre 2020.

Di particolare interesse sono state le operazioni di disinformazione usate in Siria in Siria a favore del regime di Assad. Infatti alcune pagine pubblicate su Facebook hanno raccontato storie negative sulla vita dei rifugiati siriani ma soprattutto hanno promosso critiche molto dure verso le operazioni militari condotte dagli oppositori del regime e cioè dagli Stati Uniti e dalla Turchia.

Quale lezione allora a livello geostrategico ricaviamo da tutto ciò?

In un mondo globalizzato in cui l’informazione è un mezzo privilegiato di azione in qualsiasi gestione delle crisi, la credibilità delle forze in campo viene acquisita e mantenuta anche grazie alla loro capacità di agire il prima possibile, al giusto livello, in un ampio dominio psicologico, proibendo, se non limitando, questa possibilità all’avversario. Il campo dell’informazione e dei suoi effetti è ora diventato uno spazio di combattimento. Proprio per questa ragione la guerra della disinformazione attraverso i social è uno strumento di grande rilevanza per influenzare e/o destabilizzare le politiche interne e le politiche estere delle nazioni.

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