Mentre l’emergenza coronavirus si allarga a macchia d’olio lambendo anche il Vecchio Continente e trascinando tutti in una spirale di allarme che sta contagiando il mondo non meno del nuovo virus sorto nelle lontane plaghe cinesi, il dibattito sule conseguenze che tutto ciò potrebbe e, anzi, sta già procurando all’economia e alla finanza non solo cinesi infuria non meno di quello sulle misteriosi origini di quella che alcuni già definiscono la “nuova peste”.
Abbinate alle notizie di una diffusione del virus estesa ormai a numerosi Paesi in più continenti, le immagini drammatiche che arrivano dalle zone colpite e in particolare dalla provincia-focolaio di Hubei non stanno tuttavia generando analisi e previsioni unanimi.
Nella stampa e sul web, al contrario, si confrontano e scontrano letture e proiezioni quanto mai variegate che possono stupire tutti coloro che, da due settimane a questa parte, stanno implorando ogni genere di divinità per essere risparmiate dal nuovo flagello venuto da Oriente.
Chi conosce bene (e alimenta a sua volta) la discussione in corso come il guru Alberto Forchielli è costretto a riassumerla così: potremmo essere di fronte, scrive il manager, imprenditore e fondatore di Mandarin Capital Partners su Facebook, a un “pulcino nero” candidato, anche se non per forza, a evolvere in un “cigno nero”.
Forchielli osserva infatti che le autorità cinesi per il momento “stanno gestendo bene” l’accaduto, mostrando “una capacità organizzativa non indifferente”, un’emergenza che ha sì numeri da paura, ma che nasce da un virus che sembra “meno mortale della Sars” e che “fa morire quelli che sono già debilitati”. (Anche se lo stesso Forchielli è poi costretto ad ammettere che, se la malattia risulta “meno cattiva” di come la si è dipinta nei primi giorni, sembra essere anche “più facile da contrarre, perché si può trasmettere anche quando ancora non sai di averla”).
Detto questo, il grande esperto di cose cinesi non può fare a meno di rilevare che le borse “scendono”: e questo è già un problema non secondario per la seconda economia del pianeta nonché per tutte le altre piazze finanziarie del mondo che saranno inesorabilmente investite dal grande panico generato dal Coronavirus.
Ma nemmeno questo per Forchielli appare il problema più rilevante, se pensiamo che Wuhan – la città dove tutto ha avuto origine e che ora è avvolta in una spettrale quarantena – è non solo “una delle 10 città più importanti” della Repubblica Popolare, ma è soprattutto “la Chicago della Cina”, ossia la “capitale dell’automobile” nonché un “piccolo ma strategico” centro commerciale.
Non è tutto. In Cina, osserva Forchielli, sono ormai in piena sofferenza due comparti vitali come quello degli “spostamenti”, con i viaggi in, per e dalla Cina avviati verso la paralisi, nonché quello niente affatto marginale del “lusso” (per alcune case di moda, i compratori cinesi rappresentano circa il 60% del totale, scrive Forchielli).
Impossibile ignorare insomma i moniti di Forchielli. Che nella rete però convivono con segnali assai divergenti, il più eccentrico dei quali è apparso ieri su Dagospia. È un articolo a firma Igor Pellicciari, docente all’Università di Urbino e all’Università Mgimo per le Relazioni Internazionali a Mosca, che documenta l’arrivo nei giorni scorsi a Mosca “di decine di migliaia di turisti cinesi festanti in occasione delle celebrazioni del loro anno nuovo”.
Gitanti spensierati che hanno trovato ad attenderli non solo una città “illuminata a festa (il sindaco Sobjanin ha prolungato le luminarie natalizie fino ai primi di febbraio e molti negozi espongono scritte ed auguri in lingua cinese)”, ma soprattutto nessun “tipo di precauzione al di fuori di quelle standard per i voli provenienti dalla Cina” e, quindi, “nessun segno della fobia crescente nel resto del mondo per il Coronavirus”.
Sarà la special relationship in divenire tra Russia e Cina, ma certo è che la terra di Zar Vladimir Vladimirovic – scrive ancora Pellicciari – “sembra dare questa volta poco peso al Corona virus”, appoggiandosi ad un “tasso di mortalità dei contagiati” che viene considerato “in linea con quello di altri ceppi di influenza e”, soprattutto, “molto lontano da quanto minacciava anni fa la terribile SARS”.
Nessun allarme dunque nella capitale russa invasa dai turisti cinesi. Qui al contrario, a detta di Pellicciari, sono tutti convinti che “la drammatizzazione del virus (….) sarebbe riconducibile ad una chiara scelta in tal senso della leadership a Pechino, dove il Presidente Xi Jinping vuole evitarsi le critiche di debolezza rivolte al suo predecessore Hu Jintao in occasione della SARS”.
Ma il calcolo dell’onnipotente presidente cinese potrebbe essere anche un altro: vale a dire, seguendo ancora il filo del discorso di Pellicciari, cimentarsi sì in una “prova di forza”, ma con l’unico intento di disporre di un “diversivo e (di una) giustificazione al rallentamento della economia cinese, molto più serio di quanto venga percepito da noi”.
Con un comportamento a dir poco machiavellico, Xi starebbe insomma cavalcando l’emergenza non solo e non tanto per dare al mondo una prova dell’efficienza della macchina dello Stato e del Partito, allontanando da esse le critiche scattate diciassette anni fa, bensì per mettere sotto il tappeto dati economici assai insoddisfacenti e legati a ben altri fattori.
Se l’economia cinese non sprizza salute come ai bei vecchi tempi, la situazione potrebbe però peggiorare non poco proprio a causa del Coronavirus.
Questa, almeno, è la convinzione del giornalista esperto di finanza e macroeconomia Mauro Bottarelli, che sulle pagine del Sussidiario illustra cosa possa esserci dietro l’angolo di questa “nuova peste”. Difficile infatti che l’economia cinese non subisca i più severi contraccolpi quando le autorità di Pechino deliberano di chiudere preventivamente fino all’8 febbraio tutte le attività “del bacino produttivo principale del Paese, l’hub manifatturiero di Suzhou”, rendendo “matematicamente impossibile (…) il Pil al 6% nel primo trimestre”.
Ma, prosegue Bottarelli ricollegandosi in qualche modo alla tesi di Pellicciari, “se per caso quel calo (del Pil si rivelasse) strutturale e sistemico, ovvero frutto di un rallentamento che nella realtà si sostanzia già come chiara e netta contrazione da calo della domanda e assenza di impulso creditizio, ecco che nessuno si porrà (….) troppe domande, a livello macro: la colpa è delle fabbriche chiuse e dei trasporti praticamente azzerati. La colpa è del virus, l’untore silenzioso”.
In questa corsa a chi capisce prima, e meglio, cosa attendersi da un punto di vista economico mentre in Cina è in pieno corso la caccia all’untore del 2021, il passo ulteriore lo fa uno dei più stimati sinologi al mondo: Francesco Sisci.
Per l’ex corrispondente da Pechino de La Stampa transitato all’accademia oltre che sulle pagine dei più prestigiosi quotidiani asiatici, il problema principale per Pechino (e non solo) ha ora un nome preciso dopo il Coronavirus: Borsa di Hong Kong.
“Non è chiaro ancora”, osserva Sisci, “come l’epidemia in corso in Cina avrà un impatto (nella) sede del terzo mercato finanziario al mondo”. Non che Pechino sia sprovvista di “ strumenti per sostenere la Borsa di Hong Kong anche in caso di mancanza di fiducia momentanea”, avverte il sinologo. Che tuttavia non può esimersi dal sottolineare che “se si introduce una forma di quarantena anche parziale a Hong Kong, come alla fine accadde nel 2003 ai tempi della Sars, è difficile che la Borsa non subisca contraccolpi”.
Quello che è certo è che – secondo il sinologo – la “Cina sta intervenendo in modo drastico” dopo il Coronavirus bloccando trasporti, chiudendo uffici, scuole e fabbriche” per cercare di controllare il virus. Questo è giusto ma significa anche che l’attività economica del paese si blocca e quindi chiunque abbia investito in Cina o in qualcosa che ha a che fare con la Cina nei prossimi giorni, nelle prossime settimane è possibile che si ritiri, venda”.
E se la conseguente “caduta delle Borse mondiali” che Sisci vede all’orizzonte non risparmierebbe nessuno, l’effetto sul “più debole e politicamente fragile dei paesi grandi, sarebbe immediato”, conclude il sinologo.
Il Paese in questione, naturalmente, è una penisola al centro del Mediterraneo.