Il 3 dicembre, attorno alle 22:30 ora locale, il Presidente conservatore della Corea del Sud, Yoon Suk Yeol, ha annunciato in un discorso televisivo l’introduzione della legge marziale di emergenza nel Paese, giustificando la decisione con l’urgenza di sradicare la presenza di forze ostili apparentemente attive nelle file dell’opposizione.
Dietro la decisione di Yoon, Presidente estremamente impopolare e con un tasso di supporto tra la popolazione sceso attorno al 15%, vi è probabilmente la frustrazione nei confronti delle opposizioni, che controllano il Parlamento e bloccano da mesi proposte di legge e nomine governative. L’assenza di una maggioranza a suo sostegno in Assemblea Nazionale ha avuto effetti importanti in queste settimane anche sul processo di approvazione del bilancio. Proprio lo scontro sulla manovra economica per l’anno a venire avrebbe contribuito ad esacerbare gli animi, in un Paese in cui la polarizzazione politica è già a livelli molto elevati, con l’opposizione che ha imposto tagli per circa 2,8 miliardi di dollari ai fondi governativi destinati, tra le altre cose, al settore giustizia e alle forze dell’ordine. Nelle ore precedenti allo scoppio della crisi politica e costituzionale, Yoon era arrivato a definire l’Assemblea come un covo di criminali intenzionati a rovesciare l’ordine democratico liberale. Lo stesso Presidente aveva paventato da mesi la possibilità di introdurre misure dirompenti per sbloccare quella che percepiva come un’impasse politica. Inoltre, nelle settimane precedenti al 3 dicembre, sempre Yoon, invocando imminenti minacce alla sicurezza legate all’intensificarsi delle attività nordcoreane, aveva invitato le Forze Armate a mantenere un elevato livello di prontezza. Dopo i recenti accadimenti, tuttavia, anche quell’invito si può leggere come probabilmente rivolto al fronte interno.
A bloccare il tentativo di svolta autoritaria promossa dal Presidente Yoon è stata, soprattutto, la prontezza della società civile e del fronte di opposizione, scesi in piazza malgrado l’orario notturno in cui si è sviluppata la crisi. Tale rapidità di risposta, oltre a sottolineare la presenza di un forte sentimento democratico radicato in determinate fasce della popolazione, è stata probabilmente facilitata dal fatto che ampi settori della società, medici, lavoratori dei trasporti e dell’industria tecnologica, sono già mobilitati da mesi contro le politiche governative. Inoltre, la società civile sudcoreana ha confermato, nelle scorse ore, una tradizione che la vede spesso impegnata in lotte contro percepiti abusi di potere o politiche e leader impopolari, come già avvenuto nei primi anni duemila e nel 2016-2017.
Sul piano internazionale, la crisi sudcoreana è stata accolta con sorpresa. Gli Stati Uniti, in particolare, nelle fasi più concitate si sono limitati a richiamare pubblicamente le autorità alla gestione della crisi, senza mettere in dubbio il sostegno all’alleato asiatico sotto costante pressione da parte di Pyongyang. Appare probabile, comunque, che la scommessa fallita di Yoon sia stata decisa anche puntando sulla potenziale disattenzione statunitense legata alla transizione di potere. Gli stessi media cinesi hanno mantenuto un atteggiamento di cautela nelle ore successive agli avvenimenti, limitandosi nella mattinata successiva a descrivere gli eventi in maniera piuttosto asettica. Probabile, infine, che Russia e Corea del Nord sfruttino l’accaduto a fini propagandistici, anche se il rientro rapido della crisi lascia loro uno spazio relativamente ristretto.
Quanto accaduto avrà ricadute importanti sul panorama politico sudcoreano. Molti esponenti di spicco della maggioranza, vicini a Yoon, hanno già proposto le dimissioni e il Presidente potrebbe essere costretto a farsi da parte nelle prossime ore, venendo sostituito temporaneamente dal Primo Ministro Han Duck-soo. In questo quadro, è lecito immaginare che il Paese possa andare al voto e che questo possa essere influenzato da quanto accaduto il 3 dicembre. Parallelamente, appare probabile che dossier come quello del conflitto in Ucraina, almeno nel breve periodo, finiscano in secondo piano. L’instabilità del Paese, sommata a quella che regna da tempo già nel vicino Giappone, apre inoltre scenari preoccupanti sulla sicurezza complessiva del quadrante, tra i più critici a livello globale vista la sua centralità nella competizione USA-Cina. A tal proposito, occorre monitorare nelle prossime ore le mosse di Pyongyang e Pechino, attori per i quali una crisi politica ampia a Seoul potrebbe rappresentare un’opportunità per lanciare provocazioni o provare ad ampliare la propria influenza.
(Estratto da un report del Cesi)