Venerdì 27 aprile, il presidente della Repubblica di Corea, il progressista Moon Jae-in, e Kim Jong-un, leader supremo della Corea del Nord si incontreranno, per un vertice che ha già suscitato grandi aspettative, nel villaggio di Panmunjom, nella zona demilitarizzata (Dmz) sul confine fra le due Coree. E dopo l’annuncio della sospensione dei test nucleari e missilistici nordcoreani, cresce ulteriormente l’attesa per i risultati di questo vertice.
Sono 11 anni che i leader delle due Coree non si incontrano. L’ultimo vertice risale al 2007, quando l’allora presidente sudcoreano Roh Moo-hyun, anch’egli progressista, si recò a Pyongyang per incontrare Kim Jong-il, padre dell’attuale leader nordcoreano. Prima di allora, il primo vertice inter-coreano dalla fine della guerra di Corea si era svolto nel 2000 su iniziativa dell’allora presidente di Seul Kim Dae-jung, a cui quell’anno fu assegnato il premio Nobel per la pace.
Negli ultimi anni, l’avvicendamento di governi conservatori in Corea del Sud, la transizione nella leadership nordcoreana – con il passaggio dei poteri dal padre Kim Jong-il al figlio Kim Jong-un -, ma soprattutto la ripresa dei test nucleari e missilistici da parte di Pyongyang avevano fatto prendere ai due Paesi strade contrapposte e potenzialmente conflittuali.
RITORNO ALL’APERTURA
Con la crisi della presidenza Park Geun-hye (la presidente eletta con il partito conservatore, che nel 2016 aveva chiuso ogni tipo di relazione o comunicazione con la Corea del Nord in risposta alle provocazioni di Pyongyang), con il suo impeachment e le successiva condanna a 24 anni di carcere, ma soprattutto con il successo alle elezioni presidenziali del 2017 di Moon Jae-in, a Seul ha prevalso una linea di apertura e dialogo con Pyongyang.
Già durante la campagna elettorale, Moon Jae-in si era pubblicamente impegnato per la riconciliazione con la Corea del Nord, ed aveva promesso ai suoi elettori che la sua prima visita ufficiale all’estero sarebbe stata proprio nello Stato al di là del 38esimo parallelo. La promessa di normalizzazione dei rapporti con Pyongyang era stata poi rinviata perché i primi mesi della presidenza Moon erano stati caratterizzati da una ripresa di test nucleari e missilistici nordcoreani, dalla installazione del Thaad (lo scudo missilistico statunitense schierato su territorio sudcoreano), dalle inevitabili sanzioni adottate nei confronti della Corea del Nord (che hanno ovviamente irrigidito le posizioni di Kim Jong-un), ed infine da una retorica americana sempre più minacciosa e aggressiva nei confronti di Pyongyang (fino alla promessa di “fuoco e fiamme” da parte del presidente Trump).
Moon Jae-in ha però mantenuto con coerenza la sua linea a favore di un rilancio del processo di riconciliazione fra le due Coree; non ha mai nascosto di non condividere la linea statunitense della contrapposizione frontale; ed ha preso le distanze da quella che allora era apparsa come una ferma volontà del nuovo presidente americano di tornare ad una strategia di containment in stile Guerra Fredda. E la sua coerenza è stata in qualche modo premiata. Il ruolo di mediatore giocato da Moon riporta, almeno per il momento, la Corea del Sud al centro della gestione degli equilibri di potere regionali in relazione alla crisi con Pyongyang.
LA DISTENSIONE VISTA DA PYONGYANG
E se oggi si parla con insistenza di un possibile incontro tra Trump e Kim Jong-un, va riconosciuto che questo risultato sarà in buona misura dovuto alla determinazione del presidente sudcoreano di perseguire l’obiettivo di una ripresa del dialogo con la Corea del Nord.
Va comunque intanto rilevato, anche senza aspettare i risultati del vertice del 27 aprile, che la rinnovata politica di engagement del leader sudcoreano ha già dato i primi risultati. Come confermato dal clamoroso annuncio di qualche giorno fa, i test nucleari e missilistici nordcoreani saranno sospesi e verrà disposta pure la chiusura di un sito nucleare.
Una delegazione nordcoreana ha nel frattempo partecipato ai Giochi olimpici invernali di PyeongChang; e in quella occasione (sapientemente mediatizzata da entrambe le Coree) si sono svolti anche primi colloqui politici ad alto livello fra esponenti di Pyongyang e di Seul.
E Kim Jong-un – anche probabilmente sotto la spinta di efficaci quanto discrete pressioni di Pechino – ha modificato il proprio linguaggio, riconoscendo che le sanzioni stanno provocando difficoltà all’economia del Paese, ha auspicato una ripresa del dialogo con Seul, ed ha insistito sul carattere difensivo del potenziale nucleare nordcoreano, fino ad anticipare (ma su questo la prudenza è d’obbligo) una disponibilità a rinunciare al programma nucleare a fini militari.Una delegazione nordcoreana ha nel frattempo partecipato ai Giochi olimpici invernali di PyeongChang; e in quella occasione (sapientemente mediatizzata da entrambe le Coree) si sono svolti anche primi colloqui politici ad alto livello fra esponenti di Pyongyang e di Seul.
ANCHE A WASHINGTON SI MUOVE QUALCOSA
La distensione dei rapporti tra Seoul e Pyongyang ha quindi in qualche modo costretto gli Stati Uniti ad adattare la propria strategia all’iniziativa diplomatica della Corea del Sud. E malgrado il licenziamento del segretario di Stato Rex Tillerson (contrario alla linea dura di Trump sulla Corea) e l’insediamento alla Casa Bianca di John Bolton (noto falco fautore di una linea di aspro confronto con Pyongyang), qualcosa si sta muovendo anche a Washington.
Sono infatti di questi giorni le rivelazioni di un incontro – finora tenuto segreto – del capo della Cia e futuro segretario di Stato, Mike Pompeo, con Kim Jong-un, nel weekend di Pasqua. E soprattutto è di questi giorni la notizia, confermata dalle stesso Trump di un possibile vertice con lo stesso Kim Jong-un nelle prossime settimane.
Ciò premesso, va certamente accolta con sollievo e apprezzamento la prospettiva del vertice del 27 aprile fra i presidenti delle due Coree e di una ripresa del dialogo fra Seul e Pyongyang. E va accolto come sviluppo sicuramente positivo l’eventualità di un incontro fra Trump e Kim Jong-un.
Ma una certa prudenza comunque si impone. Non è chiaro, infatti, su quali basi e quali condizioni si possa procedere verso una effettiva normalizzazione del rapporto fra la due Coree, magari nella prospettiva a più lungo termine della firma di un Accordo di Pace.
E ancor meno è chiaro quali chance abbia un ipotetico trade off tra gli Stati Uniti e la Corea del Nord, che preveda concessioni da parte di Washington sulla rinuncia al regime change, sul riconoscimento del regime nordcoreano e sulla fine dello stato di belligeranza, in cambio di un impegno di Pyongyang ad accettare una sospensione (o una rinuncia sotto monitoraggio internazionale?) del suo programma nucleare.
LA POSIZIONE DELL’UNIONE EUROPEA
In questo complesso scenario, l’Unione europea ha sostenuto coerentemente la politica di dialogo e cooperazione pacifica tra le due Coree e l’obiettivo della denuclearizzazione della penisola coreana in una prospettiva, di più lungo termine, di riunificazione della stessa.
Ma in questa fase l’Europa resta sostanzialmente ai margini, cercando tutt’al più di giocare un ruolo di attore esterno, impegnato a sostenere l’obiettivo di promuovere la distensione delle relazioni inter-coreane pur continuando a supportare la strategia sanzionatoria nei confronti di Pyongyang, fortemente voluta dagli Stati Uniti.
L’Ue potrebbe però rientrare in gioco dopo un eventuale accordo, auspicabilmente attraverso un suo coinvolgimento in un meccanismo di monitoraggio del programma nucleare nordcoreano. E magari anche impegnandosi in programmi di assistenza economica, tecnica e finanziaria alla Corea del Nord, nel quadro dei seguiti di una intesa soddisfacente sul programma nucleare e sulla normalizzazione del rapporto con Seul.
(Articolo tratto da Affari Internazionali)