Nel timore forse di non essere stato preso sul serio per la rapidità con la quale aveva aperto e chiuso al Pd entrando e uscendo dallo studio televisivo domenicale di Lucia Annunziata, di Rai3, Giuseppe Conte ha voluto mandare un segnale di conferma della chiusura. Egli ha staccato la spina anche all’alleanza elettorale per le regionali siciliane col Pd sancita pochi giorni fa col rito delle primarie comuni.
Niente quindi da fare neppure nell’isola dove Enrico Letta sperava con la candidata alla presidenza Caterina Chinnici, figlia di un grande magistrato vittima della mafia e magistrata anch’essa, di poter giocare una partita non perduta in partenza contro un centrodestra malandato sì, affollato come di polli di manzoniana memoria, ma ancora in grado di correre unito, questa volta al seguito dell’ex presidente forzista del Senato Renato Schifani. Che avrà pure problemi inquirenti prontamente cavalcati dagli avversari nel nome dell’antimafia ma non lo si può onestamente vestire col berretto nero e il fucile a tracolla, anche se siamo d’estate e il caldo sta resistendo pure ai temporali.
Io sono macho, ha insomma gridato Conte ad Enrico Letta, che intanto stava cercando di fare il macho, a sua volta, con Giorgia Meloni per via di non ricordo più quale “indecenza” commessa in una campagna elettorale dove lo stesso segretario del Pd più o meno furbescamente ha voluto fare della giovane leader della destra la sua principale controparte. Accadde tanti anni fa da candidato sindaco di Napoli anche al comunistissimo e simpatico Antonio Bassolino con la destrissima, e anche’essa simpatica, Alessandra Mussolini: sì, proprio lei, la nipote del Duce buonanima, con la maiuscola. Poco mancò che i soliti, velenosi retroscenisti li rappresentassero come in una tresca truccata da scontro.
Vedremo, ormai fra un mesetto soltanto, chi dei due macho -Conte e Letta, in ordine alfabetico- uscirà meglio, o peggio, dalle urne: il primo con quel ditino sempre puntato contro l’altro mentre ne parla e il secondo col ditino anche lui, ma sulle labbra, come per volersi trattenere chissà da quale sproloquio.
Potrebbe essere di qualche consolazione per il segretario del Pd la costanza, direi, progressiva con la quale è schierato con lui in questa difficile campagna elettorale quel monumento alla polemica e all’imprevedibilità che è meritatamente il fondatore del Foglio Giuliano Ferrara. Il quale anche oggi, come ieri difendendolo dall’avversario Marcello Pera, ha voluto proteggere il Pd dalle insidie di questa terribile estate eccezionalmente elettorale. In particolare, ne ha elogiato le liste appena presentate nelle Corti d’Appello d’Italia vedendovi altro che gli “impresentabili” lamentati da Conte per le liste regionali siciliane.
“Il Pd –ha scritto o testimoniato Ferrara- ha i suoi bravi costituzionalisti, i suoi professionisti del Parlamento, i suoi sindaci (manca all’appello un capo di gabinetto, ma pazienza), i suoi presidenti di regione e assessori, che nel Lazio mi hanno inoculato tre volte che manco a Zurigo (per la quarta aspetto e spero nuovi ritrovati d’autunno), le sue donne compresa la petulante ma non antipatica “Alice” Serracchiani, e spero i suoi boss e capicorrente. Che volete di più- ha continuato Giuliano scherzando ma non troppo- dalla vita di una piccola oligarchia che ha condiviso la responsabilità del Rosatellum con la Lega e i grillozzi e ora me paga tutto il pegno? Un giorno troveranno il modo di dirci chi sono. Intanto meritano il voto di alcuni, pochi, di noi, per ciò che non sono. E per le liste niente male, il Fratoianni inoffensivo compreso”.
Leggevo Giuliano e mi ricordavo la buonanima di Giulio Andreotti quando mi chiedeva, sornione, perché Indro Montanelli per aiutare la Dc ne scrivesse e parlasse così male, sino a turarsi il naso. E’ nella sua natura, cercavo di spiegargli.