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Giorgetti

Conte parla (a volte straparla) ma non sa quello che dice

Le esilaranti (o penose, dipende dai punti di vista) sortite di Giuseppe Conte sui rapporti con il Pd. I Graffi di Damato

 

Va bene che Beppe Grillo, come testimonia il suo blog, sta studiando con la solita allegria “una rivoluzione silenziosa” come quella che lui chiama del “Planet local”, basata sul fatto che finalmente “è stata messa in discussione la cruda narrativa del “più grande é meglio”. Ma ho paura -per lui- che Giuseppe Conte lo stia prendendo questa volta troppo sul serio.

L’ex presidente del Consiglio, ora presidente solo del MoVimento 5 Stelle proiettato sul 2050, come precisa anche il simbolo depositato al Viminale per le elezioni del 25 settembre di questo 2022, non ha soltanto rinunciato all’obbiettivo d’altronde impossibile di ripetere nelle urne il successo ottenuto – pensate un po’ – da Luigi Di Maio nel 2018 col quasi 33 per cento dei voti. Egli sembra essersi proposto, un po’ con le liste e un po’, o ancor più, con i suoi ondivaghi orientamenti politici di portare i pentastellati anche sotto il poco più del 10 per cento accreditato dai sondaggi. Più piccolo è meglio ancora, si potrebbe dire parafrasando Grillo.

E’ ormai accertato, con l’ultimo infortunio avuto facendosi intervistare da Lucia Annunziata, che le idee di Conte non durano più dello spazio di tempo in cui vengono espresse: diciamo pure mezz’ora, per stare al titolo della fortunata trasmissione televisiva che l’ha ospitato ieri pomeriggio su Rai3.

Con una foto di Enrico Letta che incombeva su di lui sino a farne un tapino Conte ha risposto così ad una domanda sul futuro, solitario o non, del suo MoVimento dopo aver fatto maggioranza con tutti nella legislatura scorsa ed essersi ritirato, o essere stato escluso dal cosiddetto “campo largo” col Pd per avere negato la fiducia al governo di Mario Draghi: “In politica pensare di governare da soli, anche se io me lo auguro, è improbabile. Una prospettiva di lavorare domani con altre forze politiche come il Pd ci può stare”.

Tuttavia, uscito dallo studio televisivo dell’Annunziata, dove peraltro aveva ricevuto un incoraggiante, compiaciuto e quant’altro “in bocca al lupo” dal ministro Roberto Speranza, l’ex presidente del Consiglio ha così twittato il suo ripensamento: “Mi spiace deludere qualche titolista, qualche giornale, ma credo che il mio pensiero sia stato forzato e travisato. Nelle condizioni attuali con i vertici nazionali del Pd folgorati dall’agenda Draghi non potremmo nemmeno sederci al tavolo”. O solo al tavolino di un bar per prendere un caffè, come nel lontano 1995 l’allora segretario del Movimento Sociale- Alleanza Nazionale Gianfranco Fini disse parlando di Umberto Bossi dopo che questi aveva fatto cadere il primo governo di centrodestra di Silvio Berlusconi. Poi -giusto per rincuorare il ministro Speranza, tornato a candidarsi col Pd, se traumatizzato dalla seconda dichiarazione di Conte- Fini e Bossi presero insieme ben più di un caffè.

La parte, diciamo così, più esilarante e politicamente costosa della seconda dichiarazione di Conte è naturalmente quella della presunta forzatura, del presunto travisamento della dichiarazione precedente. L’uomo, anzi il professore, l’avvocato ha fatto tutto da sé, come al solito. Gli altri, compresi noi giornalisti, perfidi, distratti e quant’altro, non ci abbiamo messo di nostro proprio nulla. Il merito o demerito di questa gag elettorale, che dà la misura dell’attendibilità di Conte e della confusione esistente nell’ex movimento di maggioranza, attorno alla cui crisi si è sviluppata quasi per intero una legislatura, è tutto suo. E allevia un pò le altre forze politiche -tutte, chi più e chi meno- dallo spettacolo poco edificante dato nella preparazione delle liste, come in una giostra o in una porta girevole d’albergo, con le spalle sempre rivolte a un elettorato a dir poco sgomento, e non a caso sempre più astensionista.

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