skip to Main Content

Giorgetti

Congo, Attanasio e il fallimento dell’Onu

“E i soldati dell’Onu?”, si chiede Quirico su La Stampa commentando così la loro missione in Congo: “La più grande e fallimentare operazione di pace della storia”, con “ventimila uomini e un miliardo di dollari l’anno”.

 

Fra le corrispondenze, le analisi e i commenti al nuovo sangue italiano versato nelle foreste del Congo, dopo i tredici aviatori fatti a pezzi e gettati in un fiume a Kindu l’11 novembre 1961, vorrei segnalarvi l’editoriale di Domenico Quirico sulla Stampa per essenzialità e autorevolezza professionale, viste le tante guerre che è capitato all’autore di seguire e raccontare rischiando anche la pelle.

A proposito delle circostanze in cui è toccato questa volta di morire al giovane ambasciatore Luca Attanasio e all’ancor più giovane carabiniere Vittorio Iacovacci, vittime certamente degli “ultimi affiliati al Califfato” – come li chiama Quirico – che volevano probabilmente solo sequestrarli per ricavarne altri finanziamenti al terrorismo variamente operoso, ma anche delle carenze di scorta e altro della missione delle Nazioni Unite, si rimane senza fiato a leggere queste righe quasi scolpite, più che stampate: “I rivoluzionari e i ribelli sono in realtà banditi, i governativi indossano uniformi ma si battono non per la paga, che nessuno gli dà, ma anche loro per il bottino, le donne da violentare”.

“E i soldati dell’Onu?”, si chiede Quirico commentando così la loro missione: “La più grande e fallimentare operazione di pace della storia”, con “ventimila uomini e un miliardo di dollari l’anno”. “Da vent’anni -ha raccontato Quirico con meritoria franchezza- sono lì, frustrati spettatori di una pace metafisica che non c’è, caschi blu arruolati in Paesi ancor più poveri di questo, mercenari della miseria”, a dispetto – aggiungerei- della ricchezza delle riserve naturali delle loro terre.

Ai tempi della strage di Kindu, dove anche i militari italiani si muovevano sotto le insegne dell’Onu, a guidare il governo a Roma era Amintore Fanfani, destinato a presiedere dopo soli quattro anni con disinvolto compiacimento l’assemblea generale dell’Onu. A presiedere oggi il governo italiano è Mario Draghi, che presentandosi alle Camere ha tenuto a indicare nelle Nazioni Unite, oltre che nei vincoli europei e atlantici, un caposaldo della politica estera del nostro Paese.

C’è solo da augurarsi che anche su questo, oltre che su altri terreni, il nuovo presidente del Consiglio voglia e sappia ora stupire per “discontinuità”, diciamo così, gli italiani da troppo tempo condannati ai danni del conformismo. Cui appartiene anche questa fiducia sostanzialmente illimitata nelle Nazioni Unite, nonostante i tanti fatti che gridano vendetta: dai Balcani al Congo. E scusate se non è poco.

Non vorrei che su questo cocente terreno il presidente del Consiglio si trovasse scavalcato dai pur malmessi grillini. Che una volta tanto sarebbero anticonformisti a ragione. Essi si trovano peraltro nella insperata e forse anche immeritata circostanza di avere un loro uomo alla testa del Ministero degli Esteri. A meno che Luigi Di Maio, catalogato come un “governista di ferro” nella toponomastica attuale del suo MoVimento, non decida pure lui di mettere la testa sotto la sabbia, come uno struzzo qualsiasi.

Back To Top