Che qualcosa non quadrasse lo avevamo scritto subito, sabato scorso, su Startmag, mentre impazzava un’eccessiva eccitazione giornalistica attorno al gran confronto per la prima volta tra due donne leader dei principali partiti dei due schieramenti. E già qui stava la prima anomalia destinata inevitabilmente a suscitare critiche e perplessità delle forze minori. Giorgia Meloni, premier e presidente di Fratelli d’Italia, e Elly Schlein, infatti, sono leader, appunto, dei principali partiti ma non rispettivamente leader del centrodestra e del centrosinistra.
Il centrodestra, unica vera coalizione in campo, ha però leadership plurali. E non basta la premiership di Meloni, guadagnata sulla base dei consensi nettamente maggiori alle Politiche del 2022, a conferirle l’intera leadership del centrodestra. Il centrodestra unica vera coalizione in campo resta a tre punte. Mentre la situazione è nettamente più difficile per il cosiddetto campo largo, scosso da un’aperta competizione per la leadership tra Schlein e il leader pentastellato ed ex premier, Giuseppe Conte. C’è poi l’ex terzo polo ora diviso tra Matteo Renzi e Carlo Calenda.
Non solo, il confronto volto oggettivamente a polarizzare le leadership di Meloni da un lato e Schlein dall’altro sarebbe avvenuto, altra forte anomalia, proprio alla vigilia di elezioni europee dove si corre ognuno per sé con il proporzionale ed è fisiologico che ci si misuri sia all’interno del centrodestra sia dentro la sinistra e nel centrosinistra. Forse un po’ ingenuo pensare che le altre forze politiche avrebbero assistito passivamente al gran confronto, perché sarebbe stato come accettare per gli altri partiti plasticamente le due leadership.
Non a caso Antonio Tajani, segretario azzurro, vicepremier e ministro degli Esteri, fa notare la contraddizione aperta che ci sarebbe stata tra un gran duello da polarizzazione e la scadenza delle elezioni europee con il proporzionale. E l’altro vicepremier, titolare del Mit e leader della Lega, Matteo Salvini, la sera stessa dell’ufficializzazione del gran duello al femminile si era già detto pronto a sfidare Conte. Un annuncio che faceva di fatto notare che non poteva essere il Meloni-Schlein esaustivo del confronto del quadro politico.
A Meloni, dopo la decisione di candidarsi, oggettivamente il duello sarebbe stato utile per accrescere la sua egemonia sulla coalizione che però ha leadership plurale e seppur da sempre sia unita ha diverse sensibilità. Si sono manifestate anche recentemente, dal Superbonus a temi sensibili, alla riforma della giustizia, tema questo che sul caso Toti ha visto più unite Lega e FI contro le dimissioni del presidente ligure. E naturalmente inutile sottolineare l’obiettivo vantaggio per il premier quello di avere come contendente la principale rappresentante di una sinistra radicalizzata, frammentata e senza un vero baricentro riformista.
Ma la più delusa dalla decisione dell’Agcom sembra proprio Schlein, perché era la leader del Pd ad aver più bisogno in realtà di quel duello per affermare la sua egemonia anche all’interno del suo stesso partito. Insomma, non sarebbe stato, come abbiamo scritto subito, come un Berlusconi-Prodi, poiché entrambi erano leader designati formalmente delle due coalizioni. Il bipolarismo c’è già da anni nel nostro Paese, dal ’94, quando lo fondò Silvio Berlusconi. Forse per consolidarsi più che i duelli tv serve la concretizzazione dei programmi. E di fronte al caso Toti, con un Paese bloccato al ’92, all’eterna vergogna del processo mediatico-giudiziario forse sarebbe più urgente mettersi all’opera per una vera riforma della giustizia per far diventare l’Italia un Paese occidentale su questa cruciale questione, come quei grandi Paesi patrie del bipolarismo, appunto.