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Palestina

Come sta gestendo le proteste l’Egitto di al-Sisi

Che cosa succede in Egitto? Il commento di Giuseppe Gagliano

 

Come indicato in un precedente articolo le proteste degli egiziani sia nei quartieri della periferia che nei villaggi rurali proseguono in modo costante.

La reazione della polizia e dell’esercito è stata tempestiva e capillare perché è stata in grado di arrestare in modo preventivo diverse migliaia di attivisti — giovani e meno giovani — cagionando inevitabilmente delle vittime tra i civili come Awais al-Rawi — ai cui funerali l’esercito ha sparato sulla persone che lo commemoravano — o come il 25enne Sami Wagdy Bashir ucciso nel villaggio di al-Blida a Giza.

Le proteste ormai sono arrivati a circa 160 e sono presenti in numerosissimi villaggi determinando 400 arresti che devono essere aggiunti ai 1000 fermi e ai 4000 ancora detenuti per le proteste in piazza dello scorso anno perché accusati di appartenere a gruppi terroristici.

L’importanza di queste proteste per un paese come l’Egitto è presto detta: il fatto stesso di protestare in un Paese a regime autoritario equivale o alla prigione o alla morte poiché la libertà di espressione e di associazione sono ormai esigue a causa della capillare repressione posta in essere da al-Sisi.

Il presidente egiziano è infatti terrorizzato dalla possibilità di commettere un errore analogo a quello del suo predecessore Mubarak che evitò di reprimere in modo capillare e preventivo le organizzazioni di opposizione.

Secondo i report di Amnesty International e di Human Right Watch al-Sisi ha infatti non solo incarcerato oltre 60mila prigionieri politici – e cioè oppositori islamisti, liberali, comunisti, progressisti, giornalisti, blogger, avvocati, attivisti e sindacalisti – ma ha fatto chiudere siti web, agenzie di informazione, giornali, partiti di opposizione come quello dei Fratelli musulmani ampliando, con la complicità e la connivenza colpevole di magistrati e giuristi, a dismisura il concetto di terrorismo.

Da un lato la politica di repressione del presidente egiziano che ha determinato fame e povertà – il 60% della società egiziana vive sotto la soglia della povertà – e dall’altro lato l’adozione di politiche economiche che – con un vero e proprio ribaltamento di quelle poste in essere da Nasser – hanno aumentato il divario sociale incrementando l’inflazione.

Quanto alla politica di riarmo attuata dall’attuale presidente non deve trarre in inganno: questa è infatti supportata sia dagli EAU che dall’Arabia Saudita che hanno un ruolo determinante nel sostenere l’Egitto sia sul fronte della politica economica che su quello militare garantendogli enormi investimenti e finanziamenti.

Un’ultima osservazione. Appare quantomai paradossale che numerosi Paesi europei sottolineano la violazione di diritti umani in Cina quando sono proprio i paesi europei – come Italia, Francia e Germania – ad avere incrementato il potere militare egiziano con l’esportazione di armi. Servirebbe forse maggiore coerenza e meno ipocrisia.

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