Come indicato in un precedente articolo le proteste degli egiziani sia nei quartieri della periferia che nei villaggi rurali proseguono in modo costante.
La reazione della polizia e dell’esercito è stata tempestiva e capillare perché è stata in grado di arrestare in modo preventivo diverse migliaia di attivisti — giovani e meno giovani — cagionando inevitabilmente delle vittime tra i civili come Awais al-Rawi — ai cui funerali l’esercito ha sparato sulla persone che lo commemoravano — o come il 25enne Sami Wagdy Bashir ucciso nel villaggio di al-Blida a Giza.
Le proteste ormai sono arrivati a circa 160 e sono presenti in numerosissimi villaggi determinando 400 arresti che devono essere aggiunti ai 1000 fermi e ai 4000 ancora detenuti per le proteste in piazza dello scorso anno perché accusati di appartenere a gruppi terroristici.
L’importanza di queste proteste per un paese come l’Egitto è presto detta: il fatto stesso di protestare in un Paese a regime autoritario equivale o alla prigione o alla morte poiché la libertà di espressione e di associazione sono ormai esigue a causa della capillare repressione posta in essere da al-Sisi.
Il presidente egiziano è infatti terrorizzato dalla possibilità di commettere un errore analogo a quello del suo predecessore Mubarak che evitò di reprimere in modo capillare e preventivo le organizzazioni di opposizione.
Secondo i report di Amnesty International e di Human Right Watch al-Sisi ha infatti non solo incarcerato oltre 60mila prigionieri politici – e cioè oppositori islamisti, liberali, comunisti, progressisti, giornalisti, blogger, avvocati, attivisti e sindacalisti – ma ha fatto chiudere siti web, agenzie di informazione, giornali, partiti di opposizione come quello dei Fratelli musulmani ampliando, con la complicità e la connivenza colpevole di magistrati e giuristi, a dismisura il concetto di terrorismo.
Da un lato la politica di repressione del presidente egiziano che ha determinato fame e povertà – il 60% della società egiziana vive sotto la soglia della povertà – e dall’altro lato l’adozione di politiche economiche che – con un vero e proprio ribaltamento di quelle poste in essere da Nasser – hanno aumentato il divario sociale incrementando l’inflazione.
Quanto alla politica di riarmo attuata dall’attuale presidente non deve trarre in inganno: questa è infatti supportata sia dagli EAU che dall’Arabia Saudita che hanno un ruolo determinante nel sostenere l’Egitto sia sul fronte della politica economica che su quello militare garantendogli enormi investimenti e finanziamenti.
Un’ultima osservazione. Appare quantomai paradossale che numerosi Paesi europei sottolineano la violazione di diritti umani in Cina quando sono proprio i paesi europei – come Italia, Francia e Germania – ad avere incrementato il potere militare egiziano con l’esportazione di armi. Servirebbe forse maggiore coerenza e meno ipocrisia.