Chi cercava un segno tangibile del “decoupling” tra Usa e Cina lo troverà nei dati dei flussi di investimenti diretti e del venture capital.
Secondo il rapporto del Rhodium Group e del National Committee on US-China Relations riportato dal South China Morning Post, il totale dei flussi bilaterali nei primi sei mesi del 2020 ha raggiunto quota 10,9 miliardi di dollari, vale a dire meno della metà del suo picco di 26 miliardi raggiunto nel 2016.
Gli investimenti diretti dei cinesi negli Usa sono stati 4,7 miliardi, con un incremento significativo rispetto all’anno precedente giustificato dal fatto che una buona parte di questa cifra è stata impegnata dalla sola Tencent per acquistare a marzo con 3,4 miliardi una quota di minoranza di Universal Music Group.
Ad andare a picco è stato invece il flusso di venture capital, con appena 800 milioni di dollari investiti in varie start-up, il dato più basso da sei anni a questa parte.
Anche per quanto riguarda la parte americana, gli investimenti diretti in Cina sono calati a 4,1 miliardi di dollari, con un decremento di ben il 31%, e anche in questo caso la maggior parte di questa cifra è stata impegnata per tre grosse acquisizioni da parte di Jp Morgan, ExxonMobil e General Motor.
Nel clima da guerra fredda tecnologica imperante una vittima collaterale non potevano poi che essere i flussi di venture capital in Cina, precipitati a 1,3 miliardi di dollari.
Di fronte a queste cifre, sarebbe logico concluderne che l’interesse delle due economie una per l’altra sia andato scemando, e che si stia scivolando lentamente verso il decoupling.
Eppure il South China Morning Post ci ricorda che da recenti indagini compiute sugli imprenditori di entrambi i paesi non è emersa affatto questa volontà, e che le aziende Usa e cinesi continuano ad essere impegnati nei mercati dei partner come se non più di prima.
Un’inchiesta della Camera Generale del Commercio Cinese su mille imprenditori operanti negli Usa ha fatto emergere che almeno il 90% degli intervistati si attende di investire nel mercato Usa di qui agli anni a venire le stesse cifre degli anni precedenti.
Forte è anche il radicamento cinese degli imprenditori americani nell’ex impero di mezzo: uno studio della settimana scorsa della Camera Americana delCommercio su 1400 aziende ha rilevato che solo il 4% intende trasferire la propria produzione in altri paesi.
La maggior parte delle aziende “USA è in Cina per la Cina”, risponde Jake Parker del Us-China Business Council, che aggiunge: “Sono lì per avere accesso ai consumatori domestici cinesi. Non stanno affatto usando la Cina come piattaforma per l’esportazione negli Usa”
Eppure da una recente survey di Goldman Sachs emerge come alcuni produttori soprattutto di smartphone e abbigliamento stiano facendo armi e bagagli per andare all’estero, a differenza dei produttori di beni medici e di altre tecnologie che non solo non se ne stanno andando, ma stanno aumentando la propria presenza in Cina.
Insomma, quella degli investimenti diretti e del venture capital potrebbe essere solo una battuta d’arresto in attesa di tempi migliori. Oppure è a davvero l’avvisaglia di tempi nuovi a venire in cui gli imprenditori cinesi e americani si snobberanno l’un l’altro. La verità la scopriremo nel prossimo futuro con la divulgazione dei nuovi dati sugli investimenti.