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Usa

Come si muoveranno gli Stati Uniti nel Mediterraneo

L'analisi di Ian O. Lesser, vice-presidente del German Marshall Fund of the United States (GMF) e direttore esecutivo dell’ufficio di Bruxelles, tratta da Affari Internazionali

La crisi del Covid-19 e le sue conseguenze economiche avranno implicazioni importanti per la politica estera americana, anche nel Mediterraneo. In primo luogo, avrà un enorme effetto di distrazione. Gli Stati Uniti non si libereranno necessariamente dei problemi mediterranei, ma la soglia per interventi costosi e sforzi diplomatici sarà più alta. I governi del mondo non avranno molto capitale politico in eccesso da spendere in politica internazionale. Allo stesso modo, molti problemi non potranno essere affrontati poiché Washington e altri sono concentrati su altro.

In secondo luogo, la depressione economica globale avrà conseguenze per la politica americana. Le economie emergenti – Turchia e Marocco – e quelle dell’Europa meridionale sono particolarmente esposte. Quale sarà l’estensione del sostegno americano in caso di nuove richieste al Fondo monetario internazionale e pressioni sul debito sovrano?

Lo sviluppo delle risorse di gas offshore nel Mediterraneo orientale è stato elemento centrale nella politica americana, sia come elemento di cooperazione che, più recentemente, come preoccupazione di stabilità. Il crollo dei prezzi globali dell’energia sospenderà i costosi progetti energetici offshore di ogni tipo per il prossimo futuro. Infine, la crisi attuale ha enfatizzato la tensione esistente tra la necessità di approcci coordinati e multilaterali – in materia di salute, economia e sicurezza – e l’istinto diffuso di ritorno alle soluzioni nazionali. L’approccio americano degli ultimi anni ha anche contribuito a stimolare una ritirata globale dal multilateralismo, le cui conseguenze sono state avvertite distintamente nel Mediterraneo.

Guardando al futuro, la politica di Washington verso il Mediterraneo, il nord e il sud, sarà probabilmente modellata da maggiori preoccupazioni in evoluzione e cambiamenti geopolitici. La competizione strategica, e i rischi, con la Cina saranno in cima all’agenda americana, indipendentemente da chi siederà alla Casa Bianca. Vi saranno preoccupazioni specifiche in merito agli investimenti cinesi nei porti e nelle infrastrutture, compresa l’infrastruttura informatiche nella regione, questione molto controversa in Europa meridionale, nei Balcani occidentali e forse in tutto il Nord Africa. In termini strutturali, l’impegno nel Mediterraneo potrebbe essere significativamente influenzato dallo spostamento, nel lungo periodo, dell’attenzione diplomatica e militare americana verso l’area dell’Indo-Pacifico.

Le recenti amministrazioni, e l’establishment Usa in generale, hanno ridotto il ruolo degli Stati Uniti nelle periferie europee, dove gli alleati sono in grado di agire, compresi i Balcani e il Maghreb. Questo stesso impulso ha motivato il ritiro delle forze americane dalle missioni antiterrorismo nel Sahel e nel Corno d’Africa. È possibile che un’amministrazione democratica guardi più favorevolmente a continuare questo impegno come una questione di solidarietà con la Francia. Ma, escludendo eventi dirompenti, la tendenza è chiaramente verso un progressivo spostamento di attenzione e risorse verso l’Asia.

Tradizionalmente, gli Stati Uniti hanno prestato un’attenzione notevole ai problemi di stabilità nell’Egeo e nel Mediterraneo orientale. Washington ha svolto un ruolo cruciale nella gestione delle crisi tra Turchia e Grecia (ad esempio, nella crisi di Imia / Kardak del 1996) e su Cipro. Questi temi non hanno dominato l’agenda americana negli ultimi anni ma l’attenzione rispetto alla tensione nella regione è in crescita, specialmente quella del Congresso, molto critico verso la Turchia e più favorevole alla cooperazione tra Grecia, Cipro, Israele e (forse con meno entusiasmo) l’Egitto. Il Congresso ha recentemente votato per consentire il trasferimento di armi a Cipro. Nel complesso, gli Stati Uniti hanno un chiaro interesse nell’evitare il disordine nel Mediterraneo orientale e nel preservare la distensione, ancora prevalente, tra Atene e Ankara.

Vi sono poi altri due attori critici per l’ambiente strategico del Mediterraneo: Iran e Russia. Un grave conflitto armato tra Iran e Stati Uniti porterebbe nuove richieste ai partner americani nel Mediterraneo, rivelandosi una nuova fonte di tensione nelle sue già tese relazioni con la Turchia. Anche senza conflitti, l’uso di sanzioni e la politica di “massima pressione” rimarrà in contrasto con l’approccio degli alleati di Washington. Al contrario, qualora una nuova amministrazione dovesse rilanciare la partecipazione americana all’accordo nucleare, ciò sarebbe ampiamente apprezzato nella regione. La Russia sarà in cima all’agenda della politica estera americana. Un’amministrazione democratica sarebbe probabilmente ancora più dura su questo fronte. Ciò potrebbe spingere gli Stati Uniti a guardare più da vicino il ruolo della Russia in Libia, altrove in Nord Africa e, naturalmente, in Siria. Vi sono scarse prospettive che un’amministrazione americana scelga di impegnarsi più direttamente in Siria, ma i democratici potrebbe essere più orientati a partecipare a possibili operazioni guidate dall’Unione europea, in Siria e/o in Libia.

In questo quadro, le elezioni presidenziali del 3 novembre, il corso della pandemia di Covid-19 e le sue ramificazioni economiche pongono questioni enormi sul futuro della presenza americana nell’area. Le preoccupazioni per il disimpegno americano si sono dimostrate esagerate ad oggi. Guardando al futuro, però, la politica americana sarà divisa tra il focus su crisi e alleanze e l’immensa distrazione provocata dalle preoccupazioni globali in materia di salute, economia e sicurezza.

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