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Bce

Come si muoverà l’avvocato Lagarde alla Bce. L’analisi di De Mattia (ex Bankitalia)

La Bce del dopo Draghi ha necessità, soprattutto se si accingesse a rilanciare il quantitative easing, di una guida salda, competente e autorevole, capace di resistere a spinte contrapposte. L'analisi dell'editorialista Angelo De Mattia

 

Chi, come il premier Giuseppe Conte aveva menato vanto, à la Chauvin, di avere stroncato il patto franco-tedesco di Osaka sulle nomine europee, dovrebbe meditare sul risultato che, invece, è l’apoteosi di quel legame, con la tedesca Ursula Von der Leyen al vertice della Commissione e della francese Christine Lagarde alla presidenza della Bce, oltre all’assegnazione del vertice del Consiglio al belga Charles Michel, su impulso, in particolare, del presidente francese Emmanuel Macron. In questo contesto, l’Italia, che fin qui ha avuto la presidenza della Bce e l’Alto rappresentante per la politica estera, si trova ora a mani vuote, con la promessa, tutta da verificare anche nell’accettazione della persona che sarà designata, di un commissariato economico, quale sarebbe quello alla Concorrenza. Un bel risultato, dunque: non c’è che dire. Del resto, lo stesso Matteo Salvini non si esalta di certo per la decisione sulle nomine e sposta il discorso sui contenuti delle politiche che dovranno essere promosse, a cominciare dalla revisione delle regole comunitarie.

L’importante nomina di David Sassoli alla presidenza dell’Europarlamento non è certo il frutto dell’operare del governo, ma è il risultato significativo della convergenza tra le principali forze risultate dalle elezioni europee. Al vertice della Commissione siederà un’esponente certamente con esperienza e capacità, ma non proprio la personalità che sarebbe stata auspicabile per mettersi alle spalle completamente i rigurgiti di politiche di austerità e per attivare un processo di riforma dell’ordinamento comunitario. Può darsi, comunque, che la funzione, poiché ne ha le capacità, operi una trasformazione, magari in nome di una visione realistica, più consapevole della posta in campo. Non si può dimenticare, però, il rigorismo di cui la Von der Leyen ha dato prova in questi anni, a cominciare dalla vicenda greca. La stessa designazione della Lagarde non induce a trascurare le continue critiche da lei rivolte in passato anche alla Bce in nome di politiche espansive che si tardava a promuovere, puntualmente, poi, smentite allorché il Fondo monetario internazionale, come componente della Troika, interveniva, in specie nel caso della Grecia, dando una dimostrazione di estremo rigorismo, l’opposto di quanto a parole si era detto solo qualche settimana prima. E che dire dei continui moniti, non supportati da adeguate dimostrazioni, sui crediti deteriorati presenti nelle banche europee e degli allarmi lanciati, tanto che, a un certo punto, si parlava metaforicamente e ironicamente dell’Fmi come di un grande Fondo di investimento interessato al determinarsi di una particolare, favorevole condizione dei mercati. Qualche volta vi è stato pure un botta e risposta tra la presidente designata e Mario Draghi.

La Lagarde non ha esperienza di banche centrali; la sua formazione non è quella di un economista, ma è quella propria di un avvocato d’affari con lunghe presenze nella politica e nelle istituzioni, nonché, da ultimo, nell’Fmi. Nell’esercizio di quest’ultima carica non si riscontrano significative innovazioni, quali sarebbero state necessarie, per esempio, per dare a tale organismo una funzione di monitoraggio della liquidità internazionale e per conferirgli compiti di controllo e prevenzione delle crisi, materia ora attribuita, con tutti i limiti della relativa disciplina, al Financial stability board.

Certo una francese alla testa della Bce dovrebbe rendere possibile l’entrata nel Comitato esecutivo dell’Istituto da parte di un italiano che ne abbia i titoli, cogliendo la conclusione, il primo gennaio prossimo, del mandato del francese Benoit Coeuré. Intanto, ci apprestiamo a valutare i rispettivi contenuti programmatici quando le due designate affronteranno le prescritte audizioni nell’Europarlamento. Potrebbe la nomina della Lagarde avere un valore ultrattivo, nel senso che la carica di direttore dell’Fmi che lascia possa essere conferita a Mario Draghi, una volta venuto a scadenza il mandato dello stesso? È possibile, anche se sarà necessario eliminare il vincolo dell’anzianità massima che non permetterebbe a Draghi di assumere l’incarico.

Se si riscontrerà una volontà politica convergente, la modifica dell’ordinamento del Fondo non sarebbe difficile. Una tale scelta potrebbe essere un fatto che fa apprezzare, prevalentemente per le conseguenze, la designazione di Lagarde. Per il resto, è molto probabile che si accentuerà il valore della collegialità nel Consiglio direttivo della Bce e la capacità della nominata starà nel fruire adeguatamente degli apporti che verranno dalle diverse tendenze e specializzazioni. Per ora non si può che riservarsi il giudizio.

La Bce del dopo Draghi ha vieppiù necessità, soprattutto se si accingesse a rilanciare il quantitative easing, di una guida salda, competente e autorevole, capace di resistere a spinte contrapposte e in grado di pilotare l’evoluzione delle iniziative, come finora è accaduto, nonché di stabilire fruttuose relazioni con gli organi dell’Eurozona e dell’Unione in generale. I congegni sono assai delicati. Vedremo come saranno impiegati.

(articolo pubblicato su Mf/Milano Finanza)

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