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Tunisia

Come risolvere la crisi di governo? Un paio di consigli (economici)

Epidemiologica, sociale ed economica. Come contrastare le tre emergenze nazionali. L'analisi di Gianfranco Polillo

Per chi ritiene che la condotta finora tenuta dal governo sia stata irreprensibile, questa crisi appare incomprensibile. Ne deriva che chi l’ha scatenata deve essere punito. Nell’unico modo in cui può essere punito un uomo politico: facendogli perdere la faccia di fronte al proprio elettorato e, più in generale, all’intero Paese. Per chi ritiene, invece, e noi fra questi, che la situazione sia molto meno rosea rispetto alle granitiche certezze di uomini come Antonio Misiani, vice ministro del Mef, il giudizio è più articolato. In questo caso l’attesa è vedere in che modo la crisi si ricomporrà. Perché solo un momento dopo sarà possibile esprimere un giudizio equilibrato. Capire se si è solo trattato di un indecente gioco di palazzo o se si sono fatti passi in avanti lungo quel rinnovamento che, pure, si ritiene indispensabile.

Per districare la questione è bene seguire la via tracciata dal Presidente della Repubblica che ha indicato, con chiarezza, le tre emergenze nazionali: epidemiologica, sociale ed economica. Sui vaccini le responsabilità del Governo sono minime. Le grandi aziende produttrici di vaccini, semmai, hanno beffato la Commissione europea. Che, comunque, sta reagendo in modo opportuno. Anche a voler non demonizzare il profitto, in alcuni casi si è andati oltre, cedendo alle sirene del guadagno derivante da una posizione dominante. Resta, comunque, una annotazione a margine: non è stato edificante, a prescindere dai torti e dalle ragioni, assistere allo scontro tra la Regione Lombardia e l’apparato centrale dello Stato. E finiamola qui.

Sul fronte sociale, invece, la sofferenza è reale. Imprese gettate sul lastrico – si parla di un 15 per cento del totale – interi settori (in pratica tutti i servizi alla persona) messi fuori gioco. Lo spettro di una disoccupazione di massa, quando il blocco dei licenziamenti non potrà che essere rimosso. E le acque finora trattenute a monte dilagheranno verso la pianura. Quanti saranno i nuovi disoccupati? Difficile far previsioni, non avendo i numeri precisi del calo del fatturato e di conseguenza delle perdite inflitte.

Ovviamente la crisi non è solo italiana. Ma con ogni probabilità, in Italia, sarà maggiore. I dati più ravvicinati sono ancora ballerini. Secondo quanto scrive Banca d’Italia, nel suo ultimo Bollettino, l’occupazione nel lavoro temporaneo, quello “più reattivo alle condizioni cicliche”, avrebbe subito una flessione del 13,2 per cento, rispetto all’anno prima. Anno in cui, secondo le stime della Commissione europea, nei dati dell’Alert mechanism per il 2021, l’Italia si sarebbe collocata (media del triennio) al terzo posto, con un livello di disoccupazione a due cifre. Peggio solo la Grecia e la Spagna.

Si poteva, forse, fare qualcosa di diverso? Probabilmente sì, prima di giungere alla chiusura che doveva essere vista come l’extrema ratio. Le regole di buon senso indicate – distanziamento sociale, mascherina e via dicendo – erano state accettate dai principali operatori economici. Certo: non tutto si poteva difendere. Ma mai come ora una distinzione tra il niente ed il tutto sarebbe stata necessaria. Tanto più che in molti avevano effettuato gli investimenti necessari per approntare i presidi di sicurezza richiesti. Il problema era solo attrezzarsi per controllare che quelle nuove disposizioni fossero poi rispettate. Avrebbe, naturalmente, richiesto uno sforzo organizzativo. Ma perché dannarsi, quando era più facile rimuovere il problema, decretando la chiusura?

Ed ecco perché si è preferita la monetizzazione del rischio. Il cosiddetto ristoro, l’aspirina con cui si è tentato di curare la minaccia d’infarto. Bastano due conti per capire l’impossibilità di farvi fronte, seguendo quella strada. Secondo le ultime previsioni, l’anno si chiuderà con una caduta del Pil pari al 9,2 per cento. Il reddito disponibile diminuirà, pertanto, di oltre 165 miliardi. Ben oltre le previsioni della NADEF, che scontavano una contrazione minore (9 per cento) ed un tasso d’inflazione dell’1 per cento, contro un meno 0,2 per cento, quasi definitivo.

A fronte di questa caduta rovinosa, destinata a concentrarsi solo su alcuni ceti (non sui dipendenti pubblici ed i pensionati, ad esempio) il Governo è intervenuto con una manovra di finanza pubblica che, in corso d’anno, ha portato a maggiori impegni per circa 108 miliardi. Che si riducono ad una ottantina di miliardi, considerando il trascinamento dell’anno precedente. Quindi un sostegno che è pari a meno della metà delle perdite evidenziate dal quadro macroeconomico. E sempre che quelle somme siano poi effettivamente spese. Ipotesi più che incerta, visto che alcuni decreti più recenti sono stati coperti con le somme non spese, sebbene impegnate in quelli precedenti.

Sconfortante la conclusione. Tenendo conto del fatto che, come nei casi delle decimazioni, non tutti saranno colpiti dalla crisi, ma solo i più sfortunati, (un 20/25 per cento della popolazione) sui quali cadrà la mannaia. Resterà loro almeno la soddisfazione – si fa per dire – di aver contribuito a migliorare le sorti di un Paese, messo in ginocchio dalla pandemia? Ne dubitiamo. Il Governo, infatti, ha già impegnato tutte le risorse disponibili nella XVIII legislatura. Predisponendo impegni per quasi 240 miliardi, se nel conto si comprende anche la richiesta dell’ultimo sforamento di bilancio, per 32 miliardi. Ancora da finalizzare con con un nuovo decreto legge. Casse più o meno vuote, quindi, sebbene la crisi sia tutta da dominare.

Finora gli impegni già definiti ammontano a 207,8 miliardi, di cui il 64 per cento solo spesa corrente. Poi bisognerà vedere come saranno spesi gli ulteriori 32 miliardi. Di cui ben 121 (sempre nel triennio) a valere sui fondi del Recovery Fund, per alimentare un Fondo di rotazione che dovrà essere successivamente utilizzato. Il bilancio, alla fine, è sconcertante. Il Governo ha già impegnato fondi superiori all’intero importo che sarà corrisposto dall’Europa. Ed oltre il 50 per cento di quei fondi hanno avuto una loro destinazione, senza che l’Europa, in apparenza, potesse (una grande illusione) mettervi bocca. Si spiegano allora i moniti dello stesso Paolo Gentiloni.

Ma c’è di più. Per i prossimi due anni, il Governo ha già impegnato, quasi 88 miliardi (55,9 con le passate manovre e 32 con l’ultimo spostamento) nel 2021 e oltre 50 miliardi per il 2023. Scarsi, quindi, i margini che rimangono. Mentre giungono a scadenza le prime cambiali. Finora il prestito di 30 mila euro concesso, nel 2020, a chiunque ne avesse fatto richiesta, garantito dallo Stato, comportava un preammortamento con una spesa minima: non più di 10 euro al mese. Ma quando la rata d’ammortamento diverrà più consistente, quanti saranno coloro in grado di onorare i propri impegni? Non vi sarà un fuggi fuggi generale, scaricando l’onere sul Tesoro, che ne ha garantito il rimborso, senza, per altro, appostare le necessarie riserve?

Ultima cosa, infine: l’andamento del debito, aumentato di oltre 140 miliardi (novembre su novembre). La sua copertura è stata assicurata esclusivamente dall’emissione di titoli: 120 miliardi circa di titoli a media e lunga scadenza, 14 a breve e 16,5 con maggior prestiti nei confronti dell’Unione europea. Un importo maggiore rispetto ai 140 miliardi, appena indicati, a causa di una riduzione dei depositi passivi, del minor impegno delle banche e della minor raccolta del risparmio postale. Per un totale di circa 11 miliardi. Situazione, ancora non preoccupante, se il tasso di crescita dell’economia fosse, nei prossimi due anni, quello indicato dalla Nadef (6 e 3,8 per cento), ma se avesse ragione il Fondo monetario internazionale che lo ha dimezzato (3 e 3,6 rispettivamente), che succederebbe?

Ed allora torniamo alla politica. Il mandato esplorativo, affidato a Roberto Fico, può prescindere da questi dati e concludersi con una semplice stretta di mano? O il solito mega documento: cenni sull’universo? In un Paese normale sarebbe inimmaginabile. Ma l’Italia non è un Paese normale. Nonostante ciò, qualcuno potrebbe, tuttavia, perderci la faccia. Si può sbagliare una volta, ma insistere nell’errore, questa volta, è più che diabolico.

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