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Trump

Come l’Italia sarà parte integrante del New Deal di Donald Trump

L’analisi di Tom Kirkman per Start Magazine sul vertice fra Trump e Conte alla Casa Bianca La conferenza stampa congiunta tra Giuseppe Conte, Primo Ministro italiano, e il Presidente Donald Trump, ha espresso diversi motivi di ottimismo relativi al futuro rapporto tra Washington e Roma. Oltre ai riferimenti (attesi) all’immigrazione, al contrasto all’illegalità degli ingressi…

La conferenza stampa congiunta tra Giuseppe Conte, Primo Ministro italiano, e il Presidente Donald Trump, ha espresso diversi motivi di ottimismo relativi al futuro rapporto tra Washington e Roma.

Oltre ai riferimenti (attesi) all’immigrazione, al contrasto all’illegalità degli ingressi sul territorio italiano, e la fermezza di Roma da prendere come esempio in Europa, altri importanti concetti sono emersi nella conferenza stampa congiunta, quali:

– L’avvio di un “nuovo dialogo strategico” tra Italia e Stati Uniti, rafforzando la cooperazione congiunta in tema di sicurezza e contro-terrorismo nel Mediterraneo, area geografica in cui Trump ha dichiarato di riconoscere all’Italia una leadership nella stabilizzazione della Libia e del Nord Africa;

– La pianificazione di un Conferenza sulla Libia, da organizzare verosimilmente a Roma, con la partecipazione degli Stati Uniti. Tra le questioni sul tavolo, in primis, ovviamente gli approvvigionamenti petroliferi, essendo l’Italia uno dei maggiori consumatori di petrolio libico, ma anche contratti e commesse di grande rilevanza per gli Stati Uniti stessi.

– Un impegno comune a conseguire livelli di equità e di reciprocità negli scambi commerciali, in particolare a livello multilaterale, dunque WTO ed Unione Europea (la cui importanza era stata già ribadita nell’incontro tra il Presidente Trump ed il Presidente della Commissione Europea Junker) per rimuovere le barriere comerciali ed aumentare le esportazioni americane in Europa nei settori dell’agricoltura, dell’energia e dei servizi;

– La raccomandazione da parte di Trump di investire in Italia (“great place with great people”) creando sinergie bilaterali che generino mutui benefici per i due Paesi e per i partners commerciali di entrambi.

Importante soffermarsi su quest’ultimo aspetto, cruciale per le dinamiche di crescita economica sia statunitense che italiana.

Ieri, 30 Luglio, il Bureau of Economic Analysis (BEA) del Department of Commerce ha pubblicato i dati relativi agli investimenti esteri diretti degli Stati Uniti per paese ed industria relativi al 2017.

Nel 2017, gli investimenti diretti degli Stati Uniti all’estero sono aumentati di 427,3 miliardi di dollari, passando da 5,586 miliardi di dollari alla fine del 2016 a 6.013,3 miliardi di dollari alla fine del 2017. Una grossa parte di tale aumento (243,6 miliardi di dollari) è riferibile all’Europa (in particolare, Svizzera, Regno Unito, Irlanda ed Olanda).

La quota italiana, pur aumentando in valore assoluto, è diminuita nel suo valore relativo rispetto al totale passando dallo 0,59% del 2014 (30.154 milioni di dollari), allo 0,58% del 2015 (30.869 milioni di dollari), allo 0,55% (30.922 milioni di dollari), e chiudendo con uno 0,51% del 2017 (30.708 milioni di dollari).

Per quanto riguarda gli investimenti diretti esteri negli Stati Uniti, questi sono aumentati di 260,4 miliardi di dollari da 3.765,1 miliardi di dollari alla fine del 2016 a 4,025,5 miliardi di dollari alla fine del 2017. Una grossa parte di questo aumento (128,2 miliardi di dollari) è anche in questo caso principalmente riferibile all’Europa (in particolare Irlanda, Svizzera e Paesi Bassi).

Anche in questo caso la quota italiana, pur aumentando in valore assoluto, è diminuita nel suo valore relativo rispetto al totale passando dallo 0,79% del 2014 (23.508 mUSD), allo 0,82% del 2015 (27.709 mUSD), allo 0,79% (29.898 mUSD), e chiudendo con uno 0,72% del 2017 (29.285 mUSD).

Dai dati si evince, dunque, che, secondo l’impostazione di Trump, gli Stati Uniti continuano ad esportare ricchezza investendo all’estero piè di quanto ricevono come investimenti all’interno.

Ciò è l’opposto del vero significato della rivoluzione economica Trump. Il punto di equilibrio tra l’obiettivo del Presidente e ciò che il Congresso repubblicano intende deliberare è rendere gli Stati Uniti il nuovo centro dominante per gli investimenti, anche a spese di altre nazioni.

La riforma fiscale, recentemente approvata negli Stati Uniti, riflette la spinta quasi ossessiva a ridurre il carico di imposta sulle società al fine di incentivare investimenti interni ed attrarre una quantità significativa di investimenti esteri. La convinzione di fondo è in una nuova versione della Supply-side Economics. Negli anni ’80, la teoria si concentrava principalmente sugli individui riducendo le aliquote fiscali che gravavano sui redditi da lavoro e sulle plusvalenze. Tagliare questi tassi avrebbe mobilitato il potere d’acquisto individuale, attraverso più lavoro o più investimenti. L’idea oggi attribuisce il vero potere di mobilitazione alle imprese.

Anche le politiche commerciali dell’amministrazione Trump possono essere viste come aventi una simile filosofia di fondo. Alla base del ritiro dal TPP vi è l’obiettivo di ostacolare lo spostamento di investimenti americani e di multinazionali in Vietnam, Malesia ed altre economie emergenti. L’uscita degli Stati Uniti dal TPP significa riportare detti investimenti all’interno. Analogamente nei negoziati sul NAFTA, tra i principali obiettivi vi e’ quello di mettere in discussione lo status del Messico come “paradiso” per gli investimenti esteri diretti statunitensi. Metterlo in discussione significa riportare parte dell’investimento negli Stati Uniti.

Il tema centrale nelle politiche di Trump è aumentare gli investimenti interni, non incoraggiare le esportazioni. E l’equibrio di bilancia dei pagamenti implica che le politiche di promozione degli investimenti esteri negli Stati Uniti devono essere controbilanciate da maggiori deficit commerciali. Questa è una strana conseguenza secondaria, date le promesse elettorali di Trump.

Il New Deal trumpiano vuole incentivare, tramite questa sovralimentazione di investimenti, la creazione di cluster di eccellenza, l’innovazione, l’occupazione, i salari e di conseguenza le entrate fiscali. C’è una rivoluzione nella politica economica davanti a noi e secondo i dettami del programma “America First” presto osserveremo una importazione di ricchezza, investendo all’interno degli Stati Uniti piu’ di quanto si realizzi all’esterno, con un’ampia distribuzione di benefici per tutti i contributori alla crescita statunitense.

Come Politico  ha ricordato in un articolo degno del miglior giornalismo a libro paga dell’agenda globalista, Trump ha elogiato l’Italia affermando che “Italy makes great product and I think it’s going to do very well economically”. L’aver visto a fine conferenza l’immagine di Trump che appoggia la sua mano sulla spalla del Premier Conte fa pensare che l’Italia avrà un meritato ruolo di rilievo in questa rivoluzione.

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