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Cina Lingua Inglese

Come la Cina sta facendo marcia indietro sulla lingua inglese

Secondo Xi Jinping la Cina deve mostrare più "fiducia culturale", a partire dall'eliminazione della lingua inglese che solo pochi anni fa era vista invece come uno "strumento per il popolo cinese per partire e capire il mondo". Report Economist

 

Quando la Cina ha reso l’inglese una materia obbligatoria nella scuola primaria nel 2001, lo stesso anno in cui è entrata nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, è stato preso come un segno che il paese, un tempo isolato, si stava aprendo. Il ministero dell’Istruzione disse che il nuovo requisito linguistico faceva parte di una strategia nazionale per “affrontare la modernizzazione, il mondo e il futuro”.

Due decenni dopo, in mezzo a un’ondata di nazionalismo, l’inglese sembra cadere in disgrazia. Chi viaggia in metropolitana a Pechino noterà che la lingua è stata rimossa da alcuni cartelli e mappe delle stazioni (spesso sostituita da pinyin, la forma romanizzata del mandarino). Alcune città più piccole, come Taiyuan e Shenyang, stanno facendo cambiamenti simili. La provincia di Hainan ha lanciato una campagna per “ripulire e rettificare” i nomi degli asili, eliminando una varietà di parole, tra cui “mondo”, “globale”, “bilingue” e “internazionale” – scrive The Economist.

Altre mosse sono servite a declassare l’insegnamento dell’inglese. Durante le riunioni legislative dell’anno scorso, un consigliere del governo ha proposto di rimuovere l’inglese e altre lingue straniere dalle materie principali delle scuole e dagli esami di ammissione all’università. I cinesi, sosteneva, passano troppo tempo ad imparare l’inglese e troppi pochi lo usano. Comunque, la tecnologia della traduzione automatica ovvierà presto a queste necessità, ha detto. I funzionari di Shanghai condividono questi dubbi. La città ha cercato a lungo di minimizzare l’importanza dell’inglese come materia d’esame.

Il leader cinese, Xi Jinping, vuole che il suo paese mostri più “fiducia culturale”. Un lato oscuro di questa campagna è stato rivelato nel 2013, l’anno dopo aver preso il potere, quando il Partito comunista ha fatto circolare il “Documento numero nove”, un documento politico trapelato, pieno di paranoia sugli stranieri che feticizzano il costituzionalismo e i valori universali, e che cercano di “infiltrarsi nella sfera ideologica della Cina”. Ha chiesto di vigilare su diplomatici, giornalisti e studiosi stranieri. Alcuni intellettuali cinesi credono che le misure anti-inglese siano parte di questa spinta alla purezza ideologica.

La pandemia ha accentuato la chiusura della Cina. I suoi confini sono stati chiusi per oltre due anni. Il mese scorso agli studiosi cinesi è stato impedito di partecipare a una conferenza sugli studi asiatici alle Hawaii. Non è stata una sorpresa, visti i severi controlli della Cina sul Covid. Ma, bizzarramente, i funzionari hanno citato le stesse restrizioni Covid per tenere gli studiosi lontani dalle sessioni online.

Sui social media alcuni hanno messo in discussione le mosse anti-inglese. Nel farlo, potrebbero invocare le parole del Partito stesso. Solo pochi anni fa, il suo portavoce ufficiale, il Quotidiano del Popolo, ha fatto un’appassionata argomentazione online a favore del multilinguismo: “L’apprendimento delle lingue straniere è diventato uno strumento per il popolo cinese per prendere l’iniziativa di andare nel mondo e capire il mondo”.

(Estratto dalla rassegna stampa estera a cura di eprcomunicazione)

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