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Musk Spacex

Come la Casa Bianca di Biden reagisce al twittamento di Musk

Commenti e reazioni politiche negli Stati Uniti dopo la mossa di Musk su Twitter

 

Il free speech social auspicato da Elon Musk è un pericolo per l’agorà Twitter? Da giorni lo sostengono analisti del mondo liberal, sorpresi per la grande abbuffata del miliardario che fa sul serio per l’acquisto dell’uccellino blu. Non se lo aspettavano. Lo davano per improbabile. Transeat: da tempo vediamo come analisti e specialisti abbiano perso il tocco nel prevedere le mosse politiche. Chi si aspettava l’invasione russa dell’Ucraina? Chi, prim’ancora, la vittoria elettorale di Trump?

Quella di Musk più che un’operazione di borsa ha già preso una piega politica. Il suo programma ha rallegrato molti membri e sostenitori del Partito Repubblicano degli Stati Uniti. Da tempo ritengono che le politiche di moderazione di Twitter favoriscano la libera espressione – certo, per carità – ma solo delle opinioni del mainstream liberal. Con interessanti cortocircuiti. Al contrario Musk ha gettato nello sconforto i liberal. In Italia un preoccupato Beppe Severgnini ha tenuto a farci sapere che tosto potrebbe lasciare la compagnia dei cinguettanti:

Twitter è una società quotata in borsa dal 2013, ma  ha realizzato un utile solo due volte, nel 2018 e nel 2019. La base di oltre 200 milioni di utenti della piattaforma di social media è molto più piccola di concorrenti come TikTok e Facebook e ha avuto una crescita dei ricavi poco brillante rispetto a Google e Facebook, le due forze dominanti nella pubblicità digitale. Tuttavia, Twitter è una popolare piattaforma per politici – come l’ex presidente Donald Trump prima che fosse bandito nel gennaio 2021 – e professionisti dell’economia e dell’informazione. Musk intende trasformare Twitter in una società privata. Renderebbe così l’azienda più flessibile a grandi cambiamenti. Musk dice di avere intenzione di liberare Twitter dallo spam, autenticare gli utenti e aumentare la trasparenza, invece che i tweet vengano “promossi o retrocessi misteriosamente senza sapere cosa sta succedendo”. Assicura un discorso libero e sempre nei binari della legge. Discorso non dissimile dall’Ue quando qualche giorno fa ha presentato il Digital Services Act: “In Europa ciò che è illegale offline lo sarà anche online”. Quindi il “rischio” Musk qui non dovrebbe porsi. Il Digital Services Act agisce con lo scopo di tutelare gli utenti europei dalla diffusione di disinformazione, orientamenti avvelenati e vere e proprie fake news. Misure che – si dice – garantiscono la tutela delle minoranze. Pena sanzioni fino al ban della piattaforma qualora si ignorino le linee guida.

Negli Usa l’amministrazione Biden si spinge oltre. È prontamente nato una sorta di ministero a difesa dalla disinformazione. Ed è nato proprio nella fase di shopping di Twitter dell’uomo di Tesla e SpaceX, mosso al grido della libertà di espressione.

Il nuovo ufficio, che dovrà prevenire la disseminazione di fake news attraverso i social, sorge al dipartimento per la Sicurezza interna, capeggiato dal ministro Alejandro Mayorkas. Battezzato “Consiglio per il controllo della disinformazione” (Disinformation Governance Board) ha per madrina Nina Jankowicz. Jankowicz ha ripetutamente messo in dubbio le notizie sul computer di Hunter Biden. Il figlio di Joe che sul suo laptop qualche materiale scottante sui suoi rapporti con Russia e Ucraina e illeciti fiscali, lo aveva. Per Nina Jankowicz erano invece “prodotto della campagna di Trump” e “un’operazione di disinformazione russa”. Oggi è chiamata da Biden a distribuire dischi verdi e rossi al free speech social.

A scrivere degli intrecci di Hunter Biden è stato per primo il conservatore The New York Post a ottobre 2020. Passò per fake news, punibile con censura social – è accaduto. Fu screditato e pagò con la sospensione. Twitter ha ripetutamente rimosso la storia del laptop di Hunter Biden e ne ha impedito la diffusione sulla piattaforma. L’account Twitter di un’importante testata giornalistica per la pubblicazione di un articolo veritiero è stato sospeso. La storia la scrisse in seguito il New York Times, a elezioni concluse, nel marzo 2021. Non pagò, mentre la notizia era improvvisamente diventa autentica. Il Wall Street Journal in un editoriale del 21 marzo 2022 scrive: “Non sapremo mai quale effetto avrebbe potuto avere sulle elezioni di quell’anno l’October Surprise del 2020, il resoconto del New York Post sulla scoperta di un personal computer appartenente a Hunter Biden contenente ogni sorta di email imbarazzanti, se avesse avuto una maggiore circolazione… Tuttavia le accuse contenute nel rapporto, secondo cui il figlio dell’uomo favorito per diventare presidente aveva venduto le sue connessioni politiche familiari di alto livello a stranieri, compresa l’ipotesi che una fetta della torta fosse destinata a suo padre, meritavano di essere indagate”.

Il presidente Biden è stato preso di mira giovedì per la creazione del nuovo ufficio, giudicato “distopico”. I critici lo stanno additando come un modo del governo di controllare la libertà di parola online.

I conservatori in particolare contestano il muovo ufficio. Il tempismo è tra prossime elezioni di mid-term (stando ai sondaggi più favorevoli ai repubblicani) e la scalata di Musk a Twitter con la promessa di farne un paradiso per la libertà di parola dopo la sua acquisizione da 44 miliardi di dollari. Lo stesso ministro Alejandro Mayorkas ha osservato esplicitamente che tra gli obiettivi del nuovo consiglio c’è quello di fermare la diffusione della disinformazione nelle comunità minoritarie, inclusa la disinformazione elettorale prima delle elezioni del 2022. La direttrice Nina Jankowicz si oppone al Primo Emendamento perché pensa che sia dannoso per le “comunità emarginate” e ha definito Musk un “assolutista della libertà di parola”, perché vuole rendere Twitter più aperto a tutte le voci.

Il senatore del Missouri, Josh Hawley, ha definito il nuovo consiglio del Disinformation Governance Board una “vergogna” progettata per “monitorare il discorso di tutti gli americani”. In una lettera al segretario per la sicurezza interna Alejandro Mayorkas, Hawley ha scritto che inizialmente pensava che l’annuncio fosse “satira”. “Sicuramente, nessuna amministrazione americana userebbe mai il potere del governo per giudicare il discorso del Primo Emendamento dei propri cittadini. Purtroppo, mi sono sbagliato”, ha ammesso.

Willie J. Montague ha twittato: “C’è qualcosa di più distopico di un consiglio per la governance della disinformazione gestito dal governo federale?”

La deputata repubblicana Lauren Boebert ha definito la notizia “distopica” e ha detto che la sinistra “non può permettersi che la verità sia nient’altro che ciò che dice”.

Secondo il conservatore The New York Post: “Il comitato di recente formazione prenderà di mira la presunta disinformazione mirata ai punti chiave di vulnerabilità di Biden e dei Democratici, oltre a monitorare e prepararsi alle minacce di disinformazione russe mentre si avvicinano le elezioni di medio termine di quest’anno”. Del resto lo stesso dipartimento ha avvertito in una nota ufficiale come “la diffusione della disinformazione può influire sulla sicurezza delle frontiere, sulla sicurezza degli americani e sulla fiducia del pubblico nelle nostre istituzioni democratiche”. Quindi il nuovo organismo si impegna a “proteggere la privacy, i diritti civili e le libertà civili”.

Nina Jankowicz, che guiderà il consiglio come direttore esecutivo, in precedenza è stata ricercatrice della disinformazione presso il Wilson Center, è stata consulente del ministero degli Esteri ucraino nell’ambito della Fulbright Public Policy Fellowship e ha supervisionato i programmi di Russia e Bielorussia presso il National Democratic Institute. Oltre ad avere messo in dubbio le notizie sul computer di Hunter Biden, ha criticato l’acquisto di Twitter da parte di Musk, sostenendo che una maggiore libertà di parola sulla piattaforma dei social media è una cosa negativa: “Mi vengono i brividi al pensiero di come sarebbe per le comunità emarginate se gli assolutisti della libertà di parola stessero prendendo il controllo di più piattaforme”.

Non manca di “ironia”. Lo scorso anno ha rilanciato su Twitter una sua performance canora offerta su TikTok: “Puoi semplicemente chiamarmi la Mary Poppins della disinformazione”.

Alla conferenza stampa di giovedì, la portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, a domande dei giornalisti sui punti del Disinformation Governance Board, compreso il ruolo della direttrice ai tempi delle email di Hunter Biden, è parsa in impiccio. Ha risposto di non avere dettagli.

Il contraccolpo sulla creazione del consiglio arriva quando l’amministrazione Biden ha anche presentato giovedì una “Dichiarazione per il futuro di Internet” con altri 55 paesi che hanno approvato gli impegni per frenare la “disinformazione” e le “molestie” online. I funzionari statunitensi lo hanno descritto come uno sforzo per contrastare le pratiche di paesi tra cui Cina e Russia. La Dichiarazione afferma principi fondamentali su come i paesi dovrebbero comportarsi rispetto a Internet e al digitale. Impegna i governi a promuovere un Internet aperto, libero, globale, affidabile e sicuro per il mondo.

Il documento è firmato da molti alleati degli Stati Uniti, inclusi i governi di Francia, Israele, Giappone e Regno Unito, ma l’elenco non include Brasile, India, Nigeria, Pakistan e Filippine.

In particolare, non menziona le lotte interne agli Stati Uniti sulla libertà di Internet, come la censura politicamente motivata delle notizie da parte di società private e la presunta sorveglianza di massa del governo.

Il termine disinformazione è utilizzato per censurare i contenuti che in seguito ottengono un’ampia accettazione, come la segnalazione di The Post sui documenti del computer di Hunter Biden, che Twitter ha bloccato e Facebook limitato, o la speculazione che il Covid sia trapelato da un laboratorio cinese. Info bandita da Facebook. Le agenzie di intelligence statunitensi in seguito hanno invece trovato lo scenario una delle teorie “plausibili” sull’origine della pandemia.

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