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Alaska

Come funziona in Alaska il reddito di cittadinanza basato sul petrolio. La Nota di Hansen

Lo stato americano dell’Alaska destina ai suoi residenti un “dividendo” annuo derivato dalle royalties pagate per lo sfruttamento delle “loro” risorse petrolifere. La Nota diplomatica di James Hansen

L’Alaska è uno dei cinquanta Stati Uniti d’America. Situata all’estremità nordoccidentale del continente nordamericano, confina a est con il Canada e a nord con il Mar Glaciale Artico. Lo Stretto di Bering la separa—appena—dalla Siberia, con cui condivide un clima che è generoso definire “rigido”. È enorme, occupa 1.717.854 km²—più della Francia, la Germania, la Spagna e l’Italia messe insieme. La popolazione è invece di sole 749mila persone, meno di Torino e più di Palermo.

L’Alaska è ciò che resta della frontiera americana: la vita è dura, la gente è dura e pretende che la politica non presuma troppo. Così, trentotto anni fa, lo Stato—non sapendo bene cosa fare di tutti i dollari in arrivo dalle “royalties” generate dal suo boom petrolifero—anziché acquistare auto blu, destinò una buona fetta direttamente agli abitanti, in qualche modo i “proprietari”. Dal 1982, ogni residente da almeno un anno, bambini compresi, riceve ad ottobre un assegno per la propria quota della bontà petrolifera. Non è un’inezia: il “dividendo” annuo del 2019 è stato di $1.606 a persona—un po’ meno del solito, ma pur sempre $6.424 per una famiglia di quattro persone, €5.800. L’unico adempimento annuo è di cambiare l’indirizzo se si è spostato di recente. Non si deve un favore elettorale a chicchessia, non c’entrano “patronati”, sindacati o partiti.

Non occorre nemmeno essere poveri, il dividendo va semplicemente a tutti in uguale misura. I soldi si possono spendere esattamente come si vuole, pure per comprare abbastanza vodka per passare l’inverno artico. Tutto ciò è anche, almeno in sostanza, uno dei più longevi e più riusciti sperimenti di “reddito di base universale” che ci sia al mondo, un laboratorio naturale per esaminare la domanda che sorge ogni volta che si discuta di sostegni al reddito: “Ma se regali dei soldi alla gente, non è che poi lavorerà di meno?” Due ricercatori americani, Damon Jones dell’University of Chicago e Ioana Marinescu dell’University of Pennsylvania, hanno provato a misurare l’impatto del dividendo sulla disponibilità al lavoro degli alaskani. Trovano che sulla probabilità di essere in lavoro a tempo pieno, come pure per il numero medio di ore lavorate, l’effetto è pressoché nullo. Sembra impattare invece il lavoro part-time, in crescita.

I ricercatori sospettano che ciò possa dipendere dall’effetto sul commercio della cadenza annua della distribuzione. Potrebbe, cioè, generare posti stagionali—nel commercio e nella ristorazione per esempio—mentre si spendono i soldi freschi. L’Italia sta sperimentando una forma di sostegno al reddito per i meno abbienti—il “Reddito di Cittadinanza”, così chiamato per suggerire che il soldi non andranno a stranieri—che però non ha molto a che fare con lo “Universal Basic Income” che si comincia a proporre in altri paesi occidentali. La forma d’attuazione sconsiglia di paragonarlo all’esperienza internazionale. Tra l’altro, mentre le necessità politiche hanno imposto alla fine di concedere il sostegno pure agli stranieri residenti, secondo l’Inps, a settembre 37.800 nuclei di cittadini extracomunitari non l’hanno comunque ricevuto— nonostante la domanda fosse stata accolta—perché si è “in attesa del Decreto Ministeriale attuativo per la definizione degli Stati non comunitari per i quali integrare la documentazione”…

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