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Iran Usa Cina

Come e perché l’Iran preme sull’Europa

A tredici mesi dal ritiro unilaterale da parte degli Usa, l’accordo nucleare con l’Iran (Jcpoa) si è sgretolato definitivamente sull’onda di due mosse choc di Teheran pensate per costringere l’Europa a smarcarsi dall’America e dalle sue sanzioni. L'approfondimento di Marco Orioles

 

A tredici mesi dal ritiro unilaterale da parte degli Usa, l’accordo nucleare con l’Iran (Jcpoa) si è sgretolato definitivamente sull’onda di due mosse choc di Teheran pensate per costringere l’Europa a smarcarsi dall’America e dalle sue sanzioni.

Il primo atto di questa sequenza che rischia di far tornare il Medio Oriente all’incubo di cinque anni fa risale a lunedì, quando la Repubblica islamica ha annunciato di aver superato la quantità di scorte di uranio arricchito consentitole dai termini del Jcpoa, che lo fissano a 300 kg. Ma è il passo commesso domenica quello che ha segnalato al mondo che l’Iran è in procinto di superare il punto di non ritorno.

Ieri infatti scadeva l’ultimatum agli altri firmatari del Jcpoa esclusi gli Usa (Russia e Cina, dunque, ma soprattutto i tre europei, Gran Bretagna, Francia e Germania) stabilito esattamente due mesi prima dal presidente Hassan Rouhani: se entro sessanta giorni non avessero trovato il modo di compensare l’Iran per i mancati introiti derivanti dalle sanzioni imposte dall’America, aveva ammonito Rouhani, Teheran avrebbe ripreso ad arricchire l’uranio oltre la soglia di purezza definita dall’accordo (3,67%) e violando così una disposizione chiave del Jcpoa.

Era stato proprio Rouhani, nella giornata di mercoledì scorso, ad annunciare – con parole riportate dall’agenzia semi-ufficiale Tasmin – che l’Iran avrebbe di lì a poco “innalzato il livello dell’arricchimento al livello che vogliamo e di cui abbiamo bisogno”.

Alla vigilia della deadline, l’agenzia di stampa governativa IRNA aveva quindi fatto sapere, citando a supporto il viceministro degli Esteri Sayed Abbas Araqchi e il portavoce dell’Organizzazione Iraniana per l’Energia Atomica Behrooz Kamalwandi, che nella giornata di domenica sarebbe stata annunciata una decisione importante.

Che è arrivata puntuale nel corso della conferenza stampa tenuta da Araghchi ieri a Teheran: l’Iran riprende ad arricchire l’uranio oltre la soglia del 3,67%, al fine di rifornire di combustibile l’impianto di Bushehr, che lavora con uranio arricchito al 5%. La Repubblica Islamica inoltre si riserva di violare ulteriori disposizioni del Jcpoa in intervalli di tempo di sessanta giorni, pensati per dare ai garanti dell’accordo la possibilità di fare le loro contromosse, e salvarlo.

Le affermazioni di Aragchi hanno trovato ulteriore riscontro nelle dichiarazioni del portavoce del Dipartimento nucleare, Behrouz Kamalvandi: “entro poche ore”, ha spiegato durante una conferenza stampa Kamalvandi, le preparazioni tecniche per il nuovo livello di arricchimento sarebbero state completate “e comincerà l’arricchimento oltre il 3,67%”.

Il Segretario di Stato Mike Pompeo è ricorso invece a Twitter per chiarire che, in questo modo, l’Iran non fa altro che isolarsi ancor di più e attrarsi ulteriori sanzioni:

Dure anche le reazioni giunte dall’Europa. A Londra, il Foreign Office ha mobilitato il proprio portavoce per intimare all’Iran di “fermarsi immediatamente e invertire tutte le attività che esulando dai propri obblighi”, mentre il ministro Jeremy Hunti chiariva che “ci saranno serie conseguenze”

Dalla Francia, il presidente Emmanuel Macron, che il giorno prima aveva avuto una lunga telefonata col collega iraniano, ha condannato la “violazione” dell’accordo,  mentre la Germania, attraverso il portavoce del ministero degli Esteri, si è detta “estremamente preoccupata” e ha esortato l’Iran a “stoppare e invertire tutte le attività non in linea con i suoi impegni”.

E si è fatta sentire, infine, anche la voce della settima firma posta in calce al JCPOA, quella dell’Unione Europea, che tramite la portavoce Maja Kocijancic si è detta “estremamente preoccupata”. L’Ue, ha spiegato la portavoce, punta ora ad indire una riunione d’emergenza di tutti i sottoscrittori dell’accordo per valutare il da farsi.

Il punto, ora, è capire cosa faranno davvero le potenze che quattro anni fa pensavano di aver risolto, almeno temporaneamente, la questione del nucleare iraniano salvo veder naufragare subito dopo il loro capolavoro diplomatico, come amano considerare il Jcpoa, a causa delle picconate dell’amministrazione Trump.

Le alternative non sono molte, e la prima strada, indicata ieri da un furente primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (gran detrattore del Jcpoa), è reintrodurre le sanzioni Onu. È lo stesso Jcpoa peraltro a prevedere, in caso di violazioni iraniane, che scattino le cosiddette “snapback sanctions”.

Se si seguisse questa opzione, tuttavia, si tornerebbe di fatto alla situazione pre-accordo, con un Iran sotto sanzioni ma intento a perseguire i suoi disegni atomici senza più alcun vincolo esterno. E questo è proprio lo scenario che l’Europa vuole scongiurare.

In considerazione della pistola nucleare puntata adesso dall’Iran, Gran Bretagna, Francia e Germania potrebbero invece valutare la possibilità di imbastire un nuovo negoziato con Teheran. È tuttavia improbabile che tali trattative ricalchino i desiderata degli Usa, che pretendono che l’Iran metta sul tavolo, oltre che il proprio programma nucleare, anche quello balistico oltre che l’intera postura iraniana nello scacchiere mediorientale: è una possibilità che l’Iran ha seccamente e ripetutamente escluso.

Ed è parimenti difficile che da un nuovo negoziato scaturisca quel che l’Iran desidera di più: la garanzia europea che a Teheran continueranno ad affluire quei danari che le sanzioni Usa bloccano. Nessuno, nel Vecchio Continente, è disposto a sfidare l’egemonia del dollaro. Lo stesso strumento finanziario, Instex, che l’Ue ha messo in campo per continuare a commerciare con l’Iran non servirà praticamente a nulla: gli stringenti vincoli di Instex –  che consentirà solo una sorta di baratto limitato ai  beni umanitari – dimostrano che questa opportunità non potrà mai compensare le conseguenze delle sanzioni americane.

È dunque una navigazione in terra incognita, quella che attende l’Europa nelle prossime settimane. E non ci sarà davvero molto da attendere per capire se gli ultimi sviluppi della crisi con l’Iran preludono ad una nuova, inquietante corsa all’atomo in Medio Oriente, con lo spettro di un intervento militare americano (e israeliano) all’orizzonte, o se dal cilindro della diplomazia europea uscirà la carta magica capace di far svanire l’allarme.

 

(estratto di un articolo pubblicato su Policymakermag.it, qui la versione integrale)

 

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