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Turchia

Come e perché la Turchia di Erdogan ora strizza l’occhio a Russia, Iran e Cina

Il commento di Gianfranco Polillo sul caso Turchia

È difficile prevedere come finirà. Ma se dovessimo scommettere, escluderemmo che in Turchia si possa fare il bis della Grecia. E non solo perché la stazza dei due Paesi, in termini di popolazione e di risorse economiche, è così differente. Ma per il non comparabile ruolo geopolitico dei due Paesi. Con Erdogan che è ancora il capo di uno dei più forti eserciti della Nato. Chiamato da sempre a presidiare il confine orientale dell’alleanza.

Ed allora l’effetto più probabile potrebbe essere quello dello snow ball: il piccolo masso che cade da un’alta montagna e origina la valanga. Del resto Erdogan non ha altre scelte. Accettare la medicina convenzionale – stretta monetaria – che potrebbe essere imposta dal Fondo monetario, significherebbe incrinare il piedistallo che sorregge il suo potere assoluto ed aprire in Patria una voragine dalle dimensioni inusitate.

Si spiega così la dura reazione contro gli Stati Uniti di Donald Trump accusato di sabotare volutamente l’economia turca. Accuse lanciate per creare intorno a sé un’atmosfera di union sacrée, ma non del tutto destituite di un qualche fondamento. La decisione di Trump di accrescere i dazi sull’alluminio e l’acciaio turco aveva come pretesto la svalutazione della lira turca. Come se questo evento fosse stato il frutto di una scelta deliberata e non la conseguenza della crisi finanziaria del Paese. Si deve inoltre aggiungere che la bilancia commerciale turca nei confronti degli Stati Uniti è deficitaria. Nel 2016 le esportazioni sono state pari a 7,69 miliardi, mentre le importazioni, sempre da quel Paese, hanno raggiunto i 10,3 miliardi di dollari.

É quindi facile prevedere che la querelle continuerà. Erdogan sembra essere deciso a stringere con la Russia di Putin e l’Iran. Da entrambi spera di avere le risorse energetiche indispensabili per sostenere lo sviluppo economico del Paese. Puntando a spuntare un prezzo migliore. Considerato che il recente maggior deficit della bilancia dei pagamenti del Paese è stata anche la conseguenza dell’incremento che si è manifestato nei corsi del petrolio. Guarda, ma non è il solo, anche alla Cina. Sperando in un sostegno finanziario, legato alla diversificazione delle riserve valutarie del Celeste impero.

L’idea è quella di creare un’area di scambio, con compensazioni in valute diverse dal dollaro. Per limitarne la più generale influenza. Ed è in questo insondabile gioco di specchi che entra anche l’Europa. Forse il soggetto più debole. Sia per i coinvolgimenti finanziari di alcune grandi banche (BBVA, BNL e Unicredit) ma soprattutto a causa della gestione dei flussi di immigrazione. Quei milioni di profughi, finora trattenuti in territorio turco, seppure dietro compenso. Ma che potrebbero essere spinti a riprendere la rotta balcanica e non solo, per contribuire a rendere sempre meno gestibili i rapporti tra i diversi Stati membri.

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